Monte Porzio Catone (Roma) – Si veste a nuovo il Parco Archeologico e Culturale di Tuscolo, il luogo primitivo dell’anima.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino- press.eurintuni@virgilio.it – Donatello Urbani – donatello.urbani@gmail.com

Si vuole che l’antica città latina di Tusculum, fondata secondo la leggenda da Telegono, figlio di Ulisse e della Maga Circe, nel XV secolo a.C., fosse il cuore antico dei Castelli Romani, meta preferita dai romani per i loro relax. Non per niente l’etologo Fosco Maraini lo definì “luogo primitivo dell’anima” proprio per sottolinearne il valore storico e naturalistico rivestito dall’intero territorio che vanta inoltre eccellenze enogastronomiche di tutto rispetto tanto in antico come adesso. Nel 496 a.C. Tusculum, dopo una fiera opposizione, cadde sotto il dominio romano residenza estiva prediletta d’imperatori, senatori e letterati e la sua fama si mantenne viva fino all’epoca medievale quando, il Comune di Roma, nel 1191 ne decise la distruzione definitiva.

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Dopo un periodo di abbandono e di saccheggio di reperti, nel 1984 la Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini acquista dai Principi Aldobrandini un lotto di terreno di circa 50 ettari comprendente l’intero sito archeologico. Nel 1994 a seguito di un accordo fra la Comunità Montana e la Escuela Espanola de Historia Y Arqueologia en Roma –CSIC– iniziarono i lavori di recupero e valorizzazione dell’area archeologica. Grazie ad oltre 20 campagne di scavo inserite in un progetto multidisciplinare che prevede una stretta collaborazione tra la Scuola Spagnola e numerosi enti di ricerca e università di entrambe le nazioni, una parte importante dell’area archeologica torna alla piena fruibilità del grande pubblico di turisti ed amanti della natura, della cultura e dell’archeologia.

20190411_113531                                                                                                    Il Tempio di Mercurio

Il percorso di visita si articola attraverso una parte degli edifici appartenuti all’area pubblica quali il Foro, il Tempio di Mercurio, la Basilica, l’area dei tempietti, la Fontana Arcaica ed il Teatro, risalente al 75 a.C., mirabile esempio di architettura romana e simbolo del  Parco che ha mantenuto la struttura primaria con la cavea a semicerchio divisa in quattro settori e che può ospitare, attualmente, fino a 350 spettatori. Fuori dall’area del foro sono fruibili, dopo aver percorso la via dei Sepolcri, i resti dell’edificio termale, recentemente scavato, e del santuario extraurbano.

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Monte Porzio Catone (Roma) – Parco Archeologico Culturale di Tuscolo – Strada Provinciale 73/b – consigliabile l’accesso da Frascati per quanti provengono da Roma – fino a settembre tutti i sabati e le domeniche dalle 9,30 alle 19,30, solo domenica: in ottobre fino alle 16,30, novembre fino alle 13,30 e nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio solo per gruppi su prenotazione. Info su costi dei biglietti d’ingresso,  per le attività culturali, didattiche e utilizzo dei bracieri nell’area pic-nic su www.tuscoloparcoercheologicoculturale.it

La Scala Santa, com’era in origine, è tornata visitabile in tutto il suo fascino, devozione e splendore.

Mariagrazia Fiorentino-(press.eurintuni@virgilio.it) Donatello Urbani (donatello.urbani@gmail.com)- Foto cuortesy Musei Vaticani

Fra le varie iniziative che hanno interessato questa Settimana Santa c’è anche la riapertura al culto dopo vari anni di chiusura della Scala Santa in Roma –  Piazza San Giovanni in Laterano – .  Il complesso della Scala Santa che ingloba i cui  gradini costituivano l’accesso al Palazzo di Ponzio Pilato e che la tradizione popolare vuole siano stati saliti da Gesù, è affidato alla custodia fin dal 1853 ai Padri Passionisti. Fu la madre dell’imperatore Costantino, Elena, a recuperarli  nel 326/327 e trasportarli a Roma, insieme ad altre reliquie della passione di Cristo quali la croce di legno, dove, una volta giunti, trovarono adeguata collocazione in vari edifici di culto. I gradini di accesso al palazzo di Pilato furono sistemati in un edificio vicino alla residenza papale in Piazza San Giovanni. Questi gradini, costituiti di marmi orientali diversa provenienza per un totale di 28 scalini, si ritiene che alcuni conservino tracce del sangue di Cristo in corrispondenza del secondo, undicesimo e ventottesimo gradino, tutti contrassegnati da croci.

_DSC6271Undicesimo gradino. La fede religiosa vuole che la grata di ferro sotto la croce nasconda delle gocce di sangue di Cristo lasciate dopo una caduta.

Dell’edificio in cui furono sistemati abbiamo testimonianza in un famoso disegno di Marten van Heemskerck (1498-1574), oggi al Kupferstichkabinett di Berlino,  che ci mostra l’aspetto che il campo lateranense aveva intorno al 1535-36. La veduta, presa da nord-ovest, in corrispondenza di quello che è oggi il complesso ospedaliero di San Giovanni, fotografa bene lo stato di abbandono dell’area, priva ancora di articolazioni urbanistiche e dominata dalla mole severa del Patriarchio, il gruppo di edifici sorto tra IV e V secolo nei pressi della Basilica del SS. Salvatore, dove ebbe sede, a partire da Giulio I (337-352), la Cancelleria Apostolica e dove sarebbe stata fissata, nei secoli a venire, la dimora stessa del Vescovo di Roma. Per lunghi secoli questo complesso lateranense offrì al pellegrino o al devoto uno straordinario strumento di elevazione spirituale, alimentato dalla percezione stessa della scala come reliquia scritturale. La notte del 28 gennaio 1588, nell’ambito delle demolizioni ordinate da Sisto V per la riqualificazione urbanistica dell’area, l’architetto Carlo Fontana (1543-1604) poneva mano allo smontaggio della Scala Santa e al suo trasporto in un fabbricato nuovo, appositamente progettato l’anno precedente a protezione dell’antico oratorio di San Lorenzo in Palatio. L’oratorio stesso venne inglobato nel nuovo edificio, posizionandovi davanti la Scala Santa, accanto alla quale vennero sistemate due scale per lato (cinque in tutto). Il nuovo fabbricato prese il nome di Santuario della Scala Santa e la sua facciata era costituita nella zona inferiore da cinque arcate (oggi chiuse), mentre nel piano nobile si aprivano cinque finestre a timpani ricurvi e triangolari alternati, secondo il modulo adottato nel vicino Palazzo Lateranense (1585-89). Le cinque rampe portavano a un corridoio, dal quale si accedeva alle cappelle laterali di San Silvestro e di San Lorenzo, nonché al Sancta Sanctorum Lateranense.

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Il programma decorativo, svolto su idee e suggestioni di eminenti dotti della Curia, comprendeva storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, secondo uno schema distributivo elaborato da Angelo Rocca e Silvio Antoniano (1587 ca.), di cui si conserva traccia in un disegno presso la Biblioteca Angelica di Roma. Uno stuolo di pittori tardomanieristi, come Paris Nogari, Giovanni Battista Ricci, Giovanni Baglione, Baldassarre Croce, Prospero Orsi, Andrea Lilio, Ferraù Fenzoni, Paul Bril, Ventura Salimbeni, Antonio Scalvati, Avanzino Nucci, Giacomo Stella, Giovanni e Cherubino Alberti, decorò volte e pareti sotto la direzione di Cesare Nebbia e di Giovanni Guerra, dando vita a un’iconografia di ascesi e contemplazione, didascalicamente intessuta di richiami penitenziali. Sulla Scala Santa propriamente detta, una sorta di Via Crucis figurata, rigorosamente modellata sui precetti tridentini, teneva conto del punto di vista ribassato di chi la ascendeva in ginocchio: ad aprire e chiudere il percorso, alle due estremità della rampa, erano i tre affreschi con l’Ultima Cena, la Crocefissione e l’Ascensione di Cristo, opere intensamente mistiche dell’orvietano Cesare Nebbia (1536 ca.- 1614 ca.). L’attenzione conservativa al complesso della Scala Santa non è mai venuta meno nel corso dei secoli, anche in considerazione della straordinaria devozione di cui ha sempre goduto il Santuario, ma è a partire dagli anni novanta del Novecento e grazie alla sinergia fra i Padri Passionisti (custodi del complesso dal 1853) con i Musei Vaticani (eccellenza mondiale nel campo della conservazione) che venne avviato il restauro del prezioso sacello del Sancta Sanctorum, risalente al 1277. Nel 1723, preso atto dell’usura del manufatto (dovuto anche alla consuetudine di raschiarne il marmo per riportarne a casa la polvere superficiale), fu preso partito di rivestire in legno gli antichi gradini, praticandovi feritoie per il loro avvistamento. La fasciatura in tavolati di noce dei 28 scalini è rimasta al suo posto fino al marzo 2019, quando il suo smontaggio per fini conservativi ha potuto rimettere in luce la gradinata marmorea originale.  Negli ultimi due anni, l’intervento conservativo ha compreso anche la revisione ed il restauro della preziosa reliquia della ‘Scala Santa’. In seguito al restauro, per la prima volta, dopo trecento anni, con un’apertura straordinaria di sessanta giorni fino al 9 giugno 2019 solennità della Pentecoste, la Scala Santa sarà visibile senza la copertura lignea che dopo questo periodo sarà ricollocata. Oltre al restauro dei gradini, è stato compiuto il restauro degli affreschi delle pareti della Scala Santa e delle quattro scale che le stanno a lato, due per parte. Dal suo inizio, l’intero progetto è stato seguito dai Patrons of the Arts in the Vatican Museums ed alcuni generosi benefattori si sono impegnati a sostenere finanziariamente tutta o parte dell’intera operazione.

Le sculture di Andrea Spadini in mostra nelle tre sedi della Galleria d’Arte Laocoonte fino al 16 maggio 2019 .-

Testo e foto a cura di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Un vecchio adagio vuole che nessuno sia profeta nelle propria patria. Molti i personaggi caduti vittime di questa esperienza e fra questi anche Andrea Spadini – Roma 1912/1983 – , scultore di scuole romana che deve la sua notorietà alla predilezione che gli riservarono star di Hollywood come Lauren Bacall, Henry Fonda, Douglas Fairbanks jr, ma anche, successivamente, dai più celebri personaggi del mondo del cinema, della moda e della mondanità italiana, tra cui Alberto Sordi, gli stilisti Alberto Fabiani e Simonetta Colonna di Cesarò, o la contessa Cicogna, per la quale assieme a Fabrizio Clerici decorò la bizzarra villa di Venezia.

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                                                        “Le Muse” – Bozzetti per il Piccolo Teatro Sordi – 1957 – Ceramica.

Le più autorevoli critiche d’arte vogliono “Andrea Spadini scultore fuori tempo e anticonformista per la scelta d’ispirarsi ai modelli della classicità, incurante delle mode e dell’influenza esercitata dalle avanguardie. Negli anni Sessanta, quando sulla scena dell’arte soffiava il vento dell’Informale, lui guardava al Seicento, e a Bernini in particolare”.

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                                       “Leda e il Cigno” – Ritratto di Simonetta Fabiani Colonna – 1959 Ceramica invetriata

Le cronache anagrafiche riportano che Andrea Sopadini, sul finire degli anni Cinquanta si affermò nella cerchia dell’aristocrazia e della mondanità americana grazie al conte Lanfranco Rasponi che espose a New York le ceramiche dell’artista nella sua Galleria Sagittarius. Il conte aveva una passione maniacale per le scimmie, tanto da averne una addomesticata, e Spadini creò per lui una serie di ceramiche in cui le ritraeva in varie situazioni: ballerine, vanitose, in canoa. Da quel momento i vip e le star del cinema cominciarono ad appassionarsi alle sue opere.

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                                      “Scimmia”Modello per l’orologio musicale di Central Park1964/1965 – Terracotta

Nel 1960 Spadini firmò un contratto con Tiffany, che prese ad esporre nella sede prestigiosa della Quinta Strada ceramiche, bronzi e centrotavola in argento di stampo seicentesco, tutti pezzi unici. Oltre ai grandi attori, a commissionargli oggetti, fontane e statue per le loro residenze erano magnati, miliardari e nuovi ricchi americani. Nel 1965 il suo orologio musicale con figure animali, voluto dall’editore George Delacorte, venne collocato all’ingresso dello Zoo di Central Park, a Manhattan. Lo scultore era conosciuto nel bel mondo italiano, ma a far crescere le sue quotazioni fu senza dubbio la notorietà ottenuta negli States.

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                                                      “Cariatidi” – Bozzetti per il Casinò di Las Vegas – 1965 – Ceramica

uomo. La storia che ha per protagonisti un cane: Lampo ed un Vice Capostazione , Elvio Barlettani e la figlia Virna, ci porta negli Anni Cinquanta, quando il cane Lampo apparve per la prima volta nella stazione di Campiglia Marittima. La giovane innamorò del cane e questi divenne anche il suo miglior amico. Lampo, così battezzato per il suo fulmineo arrivo in famiglia Barlettani, aveva imparato gli orari dei treni e a riconoscere le loro destinazioni; accompagnava tutti i giorni a scuola la piccola Virna fino a Piombino, per riprenderla, e riaccompagnarla a casa alla fine delle lezioni.

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                                                                        “Il Cane Ferroviere” – 1962 – Ceramica invetriata

Riferiscono le cronache che un giorno “il cane rimane intrappolato in una porta del treno in partenza che deve essere fermato per liberarlo. Un ispettore, presente all’accaduto, ordinò di farlo sparire: Lampo venne caricato su un treno per il lontano sud, con le istruzioni di abbandonarlo in aperta campagna, lontano da ogni stazione. Dopo cinque mesi, malato e ferito, Lampo tornerà. Diventerà famoso e finirà sui giornali nazionali ed esteri. Sarà anche filmato da diverse troupe televisive. Morirà nel 1961 e alla stazione di Campiglia Marittima sarà eretta una statua in suo onore.

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                                         Foto courtesy di LapoRello – opera propria tratta dalla Enciclopedia Web Wiikipedia

Elvio Barlettani, il vice capostazione, ha scritto un libro sulla sua storia intitolato “Lampo il cane viaggiatore” edito dalla casa editrice La Bancarella di Piombino. E’ catalogato fra le letture per l’infanzia, ma è un’iniezione di poesia ed energia raccomandabile anche agli adulti. Esiste anche un libro a fumetti in inglese intitolato “Famous dogs: Lampo the travelling dog” realizzato da James E. McConnell e pubblicato dalla Look and Learn”.

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                                                                              Il Congo – 1960 – Argento massiccio

La mostra, meglio ancora le tre mostre allestite nelle sedi romane della Galleria d’Arte Laocoonte, curate da Monica Cardarelli , rendono oggi tardiva giustizia a questo artista, purtroppo ingiustamente caduto, come tanti, nell’oblio dei pubblici amministratori, esponendo oltre ottanta sculture – marmi, pietre di grandi dimensioni, bronzi, terrecotte, argenti e maioliche smaltate – e altrettanti disegni. “Andrea Spadini era geniale, fantasioso e pieno di talento – dice Monica Cardarelli – ma è stato, soprattutto, capace di seguire coraggiosamente con risultati straordinari una propria strada nel momento in cui il mondo dell’arte era rivolto verso altre direzioni”.

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                                                                         “Fanciulla e scimmia” – 1970 / 1975 – Tufo

La mostra, la seconda in venti anni dopo quella del 1989 alla Galleria de’ Serpenti, si articola in tre sezioni. In via Margutta 53, nella sede della Galleria Apolloni (nelle sale create per essere gli studi di scultura di Palazzo Patrizi, dove Picasso abitò e lavorò nel 1917) sono esposte le sculture di grandi dimensioni e i loro disegni. In Via Monterone 13, nella Galleria del Laocoonte, la produzione giovanile con i marmi e i peperini che l’artista recuperava tra i ruderi di Roma sui quali dava il suo segno particolare lasciando le figure volutamente abbozzate “come se non di un’opera moderna si trattasse, ma di un reperto archeologico consunto o spezzato”. Bronzi e ceramiche di dimensioni più contenute occupano lo spazio espositivo di via del Babuino 136.

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                                   “Amaca Zanardo” – Bozzetto per villa Zanardo a Roma – 1953 / 1954 – Terracotta dipinta

“Spadini era uno scultore assoluto, dall’oreficeria raffinatissima alle grandi opere in marmo – sottolinea Cardarelli -. Tutti gli oggetti in mostra sono di grande pregio non solo per la specifica bellezza ma anche per gli straordinari clienti e collezionisti che li hanno commissionati”.

Maternità e allattamento nell’Italia antica in mostra al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia – Sala Venere – fino al 2 giugno 2019

Già nella prima parola dell’intestazione, “Maternità”, come ha rilevato il Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Valentino Nizzo, s’intravede la chiave di lettura di questa interessante mostra magistralmente curata da Giulia Pedrucci, ricercatrice all’Università di Erfurt – Germania -, con la collaborazione di Vittoria Lecce, funzionaria del Museo suddetto e l’adesione del Comitato Provinciale UNICEF di Roma.

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Mater Matuta era nell’Italia del V secolo a.C. la dea del mattino e protettrice degli inizi e , dunque delle nascite. Identico ruolo era svolto nel mondo etrusco della dea Ità che compone la parte terminale del testo. Ad entrambe erano dedicati templi e venivano omaggiate con doni, statue votive ed ex voto che una volta recuperati, grazie a campagne di scavo, sono oggi oggetto di studio, come nel caso presente, e costituiscono la base delle esposizioni permanenti di Musei e di rassegne temporanee identiche a quella allestita in questa occasione. Lungo il percorso espositivo si possono ammirare e dare una precisa chiave di lettura, grazie anche agli esaurienti pannelli didattici, a tutta una serie di reperti, debitamente restaurati, molti esposti per la prima volta, che documentato gli aspetti fondamentali di una famiglia derivati dalla nascita di uno o più eredi. “A lungo gli studiosi hanno pensato che il bambino nella società antica non fosse considerato importante”, precisa il Direttore Valentino Nizzo, “da una chiara lettura che propongono questi reperti sono ben chiare le preoccupazioni, le cure e le attenzioni riservate ai bambini ed a svolgere le quali venivano chiamate anche nonne, nutrici, zie e l’intera famiglia in una formazione “allargata”, usando un termine moderno.

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Si spiega molto bene tutto questo in una sezione che ha per titolo “La Cutrofia”. Letteralmente questa significa far crescere un bambino ed in questa specifica mansione non erano coinvolti solo i familiari bensì una nutrita serie di divinità non necessariamente tutte femminili. Infatti insieme a Mater Matuta, Fortuna, Giunone, Diana, Cerere e Minerva, troviamo anche Marte ed Eracle, che avevano il compito, ognuna con una propria specificità, di proteggere ed aiutare l’essere umano fin dal concepimento, attraverso la delicatissima fase del parto e della prima infanzia, fino al raggiungimento dell’età adulta. Fra i reperti chiamati in causa quello della dea Leucotea, così chiamata in Grecia la Mater Matuta dei romani, menzionato e fotografato nel pannello didattico ma esposto in altra sala del Museo –, consigliata, se non obbligatoria, una visita in questa sala –, riveste una particolare importanza.

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La scultura in terracotta modellata a mano raffigurante Leucotea, la dea bianca del mare sbarcata dall’oriente ed accolta in occidente da Eracle, è di eccezionale livello artistico, grazie anche all’ottimo stato di conservazione, tanto da venire collegata allo stile dello scultore Prassitele (340 / 330 a.C.), uno dei maggiori artisti del periodo classico greco.

Roma – Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia – Piazzale di Villa Giulia, n.9, fino al 2 giugno 2019 dal martedi alla domenica con orario 9,00 / 20,00. Chiuso il lunedi. Biglietto d’ingresso intero €.8,00, ridotto €.2,00. Gratuito per aventi diritto e la prima domenica del mese. E’ stata prevista una forma di abbonamenti con ingressi illimitati per 3, 6 e 12 mesi, a costi vantaggiosi. Info tel. 06.3226571; e.mail mn-etru.comunicazione@beniculturali.i, sito www.villagiulia.beniculturali.it oltre i vari social disponibili oggi.

Roma – Città del Vaticano – Braccio di Carlomagno – Colonnato Berniniano – Mostra “Leonardo – Il San Girolamo dei Musei Vaticani”.

Testo e Foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Malgrado il lungo soggiorno a Roma, circa tre anni, Leonardo non ha lasciato nella città nessuna opera pittorica; l’unica esistente è quella che ha dato origine a questa rassegna dal titolo “Leonardo – Il San Girolamo dei Musei Vaticani”, allestita nei prestigiosi spazi del Braccio di Carlomagno in Piazza San Pietro. Un documento dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano apre il percorso espositivo di questa rassegna, testimoniando la permanenza di Leonardo in un appartamento per lui allestito nel Belvedere Vaticano presso l’originario nucleo storico dei Musei Vaticani. “Sono gli stessi anni in cui è certa la presenza contemporanea nell’Urbe pure di Bramante, Michelangelo, Raffaello e di numerosi altri eminenti protagonisti della storia dell’arte”, come ha rilevato la Dott.ssa Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani che ha concluso il suo intervento affermando:San Girolamo nel deserto” di Leonardo è certamente un capolavoro assoluto, ma anche un’opera che esalta la spiritualità di un grande Padre e Dottore della Chiesa”.

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Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati», riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo dedicandosi seriamente agli studi. Questa è l’immagine ritratta da Leonardo nello straordinario dipinto conosciuto soprattutto per la sua tecnica esecutiva caratterizzata da un diffuso “non finito” presente in ampie parti dell’opera, che permette di analizzare le modalità esecutive dell’artista. In occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci (1452-1519), il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e la Direzione dei Musei Vaticani offrono la possibilità di ammirare il celebre dipinto,normalmente custodito nella Pinacoteca Vaticana. Come affermata dalla Dott.ssa Barbara Jatta: “La speciale esposizione consente di contemplare da vicino, fuori dai ritmi frenetici dei circuiti turistici, una delle poche creazioni del genio vinciano la cui autografia non è mai stata messa in discussione. Per questi motivi, l’allestimento è stato ideato per favorire il contatto diretto con il capolavoro, custodito per l’occasione all’interno di una teca climatizzata ad alta tecnologia”.

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In mostra, una serie di pannelli didattici consentono di conoscere meglio la figura di Leonardo da Vinci e la congiuntura storica e culturale nella quale vide la luce il dipinto esposto: lo straordinario contesto storico di Roma nel secondo decennio del Cinquecento, durante il quale l’artista visse e soggiornò in Vaticano. Uno specifico approfondimento è dedicato alla grandiosa figura di San Girolamo (347–419/20), tratteggiata dalle sapienti parole del Papa Emerito Benedetto XVI. Completa l’esposizione un video realizzato dalla Direzione dei Musei Vaticani.

Roma – Citta del Vaticano – Piazza San Pietro Braccio di Carlomagno fino al 22 giugno 2019 con ingresso Gratuito ed orario: Lunedì – martedì – giovedì – venerdì – sabato: dalle ore 10,00 alle ore 18,00 (ultimo ingresso alle ore 17,30) – Mercoledì: dalle ore 13,30 alle ore 18,00 (ultimo ingresso alle ore 17,30) Domenica e festività religiose chiusa Informazioni: www.museivaticani.va

Romics – La Fiera di Roma ospita dal 4 al 7 aprile 2019 la XXV^ edizione del Festival Internazionale del Fumetto, Animazione, Cinema e Games

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

L’evento primaverile più atteso, non solo dai giovani e giovanissimi, è senza dubbio l’annuale edizione di Romics, Festival Internazionale del Fumetto, Animazione, Cinema e Games, che da quando è ospitato nei nuovi padiglioni della Fiera di Roma, ha trovato un richiamo di ampio respiro, anche internazionale, come riportato nell’intestazione ufficiale di questa bella iniziativa. Basta scorrere il calendario degli eventi per constatare di persona che sono stati accontentati i più svariati gusti: dagli artistici ai culturali, passando per i ludici a quelli didattici indirizzati non solo a quanti hanno da tempo superato l’età scolastica. Tra i maggiori eventi inseriti nel ricchissimo programma di questa edizione, segnaliamo:

– L’assegnazione dei Romics d’Oro, prestigioso riconoscimento assegnato ai maggiori disegnatori di fumetti internazionali, che in questa 25^ edizione verranno assegnati a Reki Kawahara, scittore giapponese di light novel e manga e all’italiano Alessandro Bilotta, autore, sceneggiatore, soggettista e story editor delle più famose serie di fumetti da Giulio Meraviglia a Dylan Dog.

IMG_20190320_123728                                                                             Foto Courtesy Ufficio stampa Maurizio Quattrini

– Celebrazione dell’80esimo anniversario di Batman con una mostra di tavole originali realizzate da artisti internazionali e italiani, statue ufficiali, omaggi d’autore installazioni e contenuti trans mediali dedicati all’Uomo Pipistrello comparso per la prima volta sulla rivista Detective Comics il 30 marzo 1939. E’ questa la prima tappa ufficiale in Italia di una serie di celebrazioni inziate ad Austin (USA) il 15 marzo scorso al grido di “Long Live Batman”, volute e promosse dalla Warner Bros.

– Mostre ed eventi speciali, rubriche che da sempre caratterizzano questa manifestazione, rivestono particolare importanza quelle che accolgono le opere di Reiki Kawahara, Giorgio Cavazzano, della Scuola Romana del Fumetto e della Scuola Internazionale di Comics che con una life performance rende omaggio al 50esimo anniversario dello sbarco sulla luna.

– Area Romics e Kids&Junior che nel proprio palcoscenico accoglie il Cospay Kids.

– Confronti ricchi di stimoli fra quattro grandissimi autori: Giorgio Cavazzano, Luciano Gatto, Carlo Panaro e Marco Gervaso, animano l’area dedicata all’Officina del Fumetto e a Romics Narrativa.

– Movie Village, spazio interattivo con anteprime ed incontri speciali su film e serie ispirate a giochi e viodeogames fumetti, romanzi, accompagnate dalle installazioni delle principali fandom italiane.

– Pala Games e Card Games, vera Game Town al quale è stato riservato l’intero padiglione 9 della Fiera di Roma.

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– Eventi vari di grande impatto sul pubblico caratterizzano, come nelle precedenti edizioni, l’intera manifestazione quali il Gran Galà del Doppiaggio e il Romics Cosplay Award, dove sono chiamati a sfidarsi sul palco di Romics i cosplayer italiani per rappresentare l’Italia nella gara mondiale del Cow’s Cosplay Cup 2019 che si terrà ad Animecon in Olanda.

Fiera di Roma – Via Portuense 1645 dal 4 al 7 aprile 2019. Collegamento con treno per Fiumicino, fermata Fiera di Roma. Informazioni e acquisti di biglietti d’ingresso, previste numerose riduzioni e facilitazioni, sul sito www.romics.it tel.06.9396007 – 06.93956069 – e.mail info@romics.it

Fremo Immagine – Mostra di Francesco Ciavaglioli a Roma – Fondazione Pastificio Cerere– Spazio Molini , fino al 6 aprile 2019.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

In uno spazio di archeologia industriale dove sembra che il tempo si sia fermato, sono esposte le opere di Francesco Ciavaglioli per la sua prima personale. “I sotterranei dello storico stabile si popolano di opere su carta, tela e vetro, alternando interventi site-specific a opere inedite. La ricerca dell’artista si basa sulle relazioni tra immagini e media, la sue opere presentano paesaggi innaturali, costruiti attraverso strategie e tecniche che riflettono sui principi di riproduzione alla base dell’immagine contemporanea, tra ripetizione e dissoluzione”.

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Piani sovrapposti, spaccati di paesaggi, rovi e stormi di uccelli, un immaginario semplice e quotidiano sotto il quale pulsa l’idea di una ripetività ossessiva, mentale e spirituale. Tecnica che rimanda a quelle già realizzate nelle factory newyorkesi da Andy Warholl dove i soggetti di questa rassegna non hanno esseri umani per protagonisti bensì la natura in una sua esaltazione, depositaria per eccellenza della bellezza in senso assoluto.

Roma – Via degli Ausoni, 7 – ex Pastificio Cerere fino al 6 aprile 2019 con ingresso gratuito

 

Kiribati – Mostra di Antonio Fiorentino a Roma Fondazione Pastificio Cerere

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Sedimenti, si accumulano nei fondali, detriti su detriti, costruzioni su costruzioni e, se nel passare del tempo si è distrutto, ora è arrivato il momento di recuperare, di reagire e di modificare la nostra quotidianità.

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L’opera personale dell’artista Antonio Fiorentino viene realizzata dopo il suo soggiorno avvenuto nell’estate del 2018, nelle isole Kiribati. Una serie di 33 isole sparse in Oceania. Kiribati si trova sulla linea internazionale del cambio di data ed é il primo stato a salutare la nuova alba, il nuovo giorno, il nuovo anno: in qualche modo si può dire che “sia nel futuro. Ma il futuro di questo paese è apocalittico perché rischia di scomparire per sempre nell’arco di pochi decenni, poiché l’innalzamento del livello dei mari causato dal riscaldamento globale, sta sommergendo a poco a poco il territorio delle isole”. La linea del tempo a Kiribati perde il suo confine, permette distorsioni che hanno portato l’artista “viaggiare nel tempo” in una dimensione sospesa e indefinita, casuale, in un continuo rimando volto a valutare la prospettiva a seconda della direzione percorsa. Fiorentino è un poeta, perché sa raccogliere emozioni, entusiasmi che sanno di mare, di sole, di sale, di vento, di canti antichi e d’infinito azzurro.

Il 15 aprile alle ore 19,00 sarà presentato in anteprima il video dal titolo “Kiribati” realizzato dallo stesso artista sull’isola.

Roma – Via degli Ausoni, n.7 fino al 19 luglio 2019 con ingresso gratuito

 

Roma – In mostra un’importante selezione di fotografie di Robert Mapplethorpe alla Galleria Nazionale Corsini.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

 

La fotografia è un sogno, cultura, libertà. La mostra dal titolo “Robert Mapplethorpe. L’obiettivo sensibile”, curata da Flaminia Gennari Santori, Direttore delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini, é tutta incentrata su un possibile dialogo tra passato e presente, tra le opere d’arte esposte in via permanente nella Galleria e le fotografie scattate da uno dei più discussi fotografi del secolo scorso. Questo dialogo non è nuovo alla politica espositiva seguita dalla direzione delle due Gallerie Nazionali ed è iniziato con l’esposizione di Parade di Picasso nel 2017 e la rassegna Eco e Narciso nel 2018. Dialogo, come avvenuto in questa rassegna, non necessariamente deve seguire una comune linea artistica, anzi, come voluto per questa occasione, si è cercato deliberatamente d’impostarlo su temi dissonanti e provocatori, che fossero in netto contrasto fra di loro.

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                                                                                   Ken and Lydia and Tyler – 1985

Così scrive nel suo testo Flaminia Gennari Santori: “… fare una mostra su Robert Mapplethorpe è ispirata alla pratica collezionistica dell’artista, avido raccoglitore di fotografie storiche, passione che condivideva con il compagno Sam Wagstaff, la cui collezione fotografica – composta in larghissima parte di ritratti, figure e paesaggi – costituisce un fondo straordinario del dipartimento di fotografia del Getty Museum di Los Angeles. La mostra è un evento unico poiché le foto sono state in varie occasioni accostate alle opere di artisti del passato – Michelangelo, Hendrick Goltzius, Auguste Rodin – attraverso dialoghi sorprendenti e rivelatori, ma questa è la prima volta che vengono esposte nel contesto di una quadreria settecentesca.

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In alto sulla sinistra: Papa Clemente XII- Lorenzo Corsini                                                Italian Devil (Diavolo) – 1988

La selezione delle opere e la loro collocazione nella Galleria rispondono a diverse intenzioni: mettere in luce aspetti del lavoro di Mapplethorpe che risuonano in modo particolare con la Galleria Corsini, intesa come spazio — fisico e concettuale — del collezionismo, per innescare una relazione inedita tra i visitatori, le opere e gli ambienti della Galleria. Mapplethorpe non è mai stato alla Galleria Corsini, ma senz’altro avrebbe trovato interessanti le sale ancora allestite secondo il gusto del cardinale Neri (1685 – 1770), il creatore della collezione che visse in questo appartamento dal 1738 alla morte….”

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                                                                                                Winter Landscape, 1979

Il percorso espositivo che raccoglie quarantacinque opere, si concentra su alcuni temi che contraddistinguono l’opera di Robert Mapplethorpe (1946-1989), si snoda in tutte le sale del museo, inizia nella cosiddetta Anticamera dove Winter Landscape, un raro paesaggio del 1979, è esposto sotto Paesaggio con Rinaldo e Armida di Gaspard Dughet. Per prosegue poi nella Prima Galleria, nella Galleria del Cardinale, nella Camera del Camino e passando per l’alcova di Cristina di Svezia, prosegue nel Gabinetto Verde, nella Sala Verde, nella Sala Rossa per concludersi In una piccola stanza adiacente dove sono esposte alcune fotografie più esplicite affiancate a immagini di fiori. La mostra “Robert Mapplethorpe. L’obiettivo sensibile”, come affermato dalla curatrice: “è un’occasione straordinaria per guardare le sue fotografie da punti di vista inusuali e riscoprire la collezione del museo in una luce contemporanea”. Accompagna la mostra un piccolo catalogo, preziosa guida per una lettura corretta delle opere.

Roma, Galleria Corsini, via della Lungara 10 – fino al 30 giugno 2019 dal mercoledì al lunedì dalle 8.30 alle 19.00. La biglietteria chiude alle 18.00; giorno di chiusura il : martedì. Biglietto d’ingresso: Intero 12 € – Ridotto 2 € (per i giovani dai 18 ai 25 anni) . Il biglietto è valido dal momento della timbratura per 10 giorni in entrambe le sedi del Museo: Palazzo Barberini e Galleria Corsini. Gratuito per i minori di 18 anni ed altre categorie previste dalla legge.

Roma – Ministero dei Beni e le Attività Culturali – Firma del protocollo per la restituite al Messico 594 tavolette votive trafugate dai luoghi di culto.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Gli ambienti monumentali della “Crociera” del Collegio Romano, sono stati la cornice ideale per esporre i 594 dipinti ex voto, illecitamente sottratti al patrimonio culturale messicano ed esportati illegalmente in Italia.

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Con una cerimonia ufficiale il 6 u.s. è stato firmato il protocollo di restituzione alla presenza del Ministro per i Beni e le Attività Culturale Alberto Bonisoli e della Segretario della Cultura Dottoressa Alejandra Frausto Guerrero degli Stati Uniti Messicani.

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Nelle raffigurazioni pittoriche la Madonna viene rappresentata in mille modi diversi, perché di lei non possediamo alcun ritratto iconografico sicuro.

20190306_120537                                                                    Nostra Signora di Guadalupe Patrona del Messico

Eppure a un certo momento, questa mancanza venne sentita e la pietà popolare pur di avere l’effige “vera” di Maria immagini ideali: ma non per questo meno care al nostro cuore, care anche se non siano uscite da pennelli celebri, perché non è il valore artistico a determinare la venerazione verso un’immagine mariana, bensì la copia delle grazie che la fede impreta dall’onnipotenza divina e come ci sono quadri famosi, che noi ammiriamo nelle sale di un museo senza che essi ci suggeriscano un solo palpito di devozione, esistono invece a centinaia, nei santuari di tutto il mondo cattolico, immagini senza alcuna pretesa artistica attorno alle quali è un plebiscito di fede e di gratitudine che si rinnova di secolo in secolo.

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Le opere restituite per l’occasione, furono asportate tra il 1960 ed il 1970 da vari luoghi di culto del Messico.Individuate grazie all’archivio della Banca Dati del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza, furono da questi sequestrate nel giugno del 2016, su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Erano tutte esposte in due musei, uno lombardo e l’altro piemontese, ove erano giunte a seguito di una donazione da parte di un noto collezionista milanese, nel frattempo deceduto.

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“Grazie all’esperienza dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale”, come ha rilevato il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Corpo d’Armata Giovanni Nistri, “supportati dagli esperti del Ministero per i beni e le attività culturali, è stato possibile, sulla base dell’analisi iconografica e delle iscrizioni presenti, ricondurre i dipinti al Messico. I successivi accertamenti, esperiti sul canale diplomatico, hanno permesso di acquisire, dall’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Segretariato della Cultura messicana di Città del Messico, la conferma dell’appartenenza degli ex voto al patrimonio culturale del Paese centroamericano.

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La cerimonia odierna, che segue quelle avvenute nel 2014 e nel 2016 in cui sono stati restituiti agli Stati Uniti Messicani molti altri reperti archeologici provenienti da scavi illegali, testimonia la proficua e consolidata collaborazione tra l’Italia e il Messico nella lotta al traffico illecito di beni culturali, ulteriormente qualificata dall’istituzione, nel marzo 2018, della “Unidad de Tutela del Patrimonio Cultural” della Divisione di Gendarmeria della Policía Federal de México. Il reparto, che è nato sul modello dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, anche a seguito della sensibilizzazione prodotta, in ambito internazionale, dall’iniziativa italiana della Task Force “Unite4Heritage”, si occuperà di tutelare il ricchissimo patrimonio culturale di quel Paese”.