Scoperta la firma di Filippo Rusuti nella tavola raffigurante la Madonna di San Luca in Santa Maria del Popolo a Roma.- Allestita per l’occasione una mostra a Castel Sant’Angelo.

Testo e foto di Donatello Urbani

Nel corso dei lavori di restauro e conservazione sulla tavola della Madonna di San Luca custodita a Roma sull’altar maggiore della Basilica di Santa Maria del Popolo in Piazza del Popolo è venuta alla luce una firma apposta nella parte alta che indica l’autore del dipinto.

20181018_122819                                  La firma di Filippo Rusuti riportata sulla parte alta della tela sopra l’aureola della Madonna

La preziosa tavola con l’immagine della Vergine Maria con in braccio il figlio Gesù Bambino, Odigitria nella venerazione popolare,  fu voluta dal Senato Romano e per questo è conosciuta come Santa Maria del Popolo. Nel corso dei secoli le furono riconosciuti vari episodi miracolosi attribuendo, inoltre, la realizzazione  dell’opera a San Luca apostolo. Nel 1235 Papa Gregorio IX  fece trasferire il dipinto da San Giovanni in Laterano  nella cappella di Piazza del Popolo e da allora “è una delle immagini più venerate nella storia della città, quella con cui si è manifestata una singolare devozione, documentata non solo dalla fama di immagine miracolosa, ma anche dagli atti ufficiali della storia della chiesa”, come ha precisato la Dott.ssa Edith Gabrielli, Sovrintendente del Polo Museale del Lazio.

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    Particolari dell’abito e deigioielli indossati dalla Madonna. In entrambi è possibile rilevare l’accuratezza del restauro effettuato

Nel 2017 la preziosa opera è stata sottoposta ad un intervento di restauro conservativo e proprio in questa occasione sulla parte alta del dipinto è venuto alla luce la firma di Filippo Rusuti, artista appartenente, insieme a Cavallini e Torriti, alla scuola romana di fine 1200 inizi 1300. Rusuti è conosciuto per essere l’autore dei mosaici della facciata della Basilica di Santa Maria Maggiore, parzialmente coperti dall’attuale successiva facciata e grazie a questo evento è stato possibile attribuire a lui anche gli affreschi della chiesa di San Saba, sul colle Aventino per la presenza di una immagine della Vergine simile a quella della tavola di Santa Maria del Popolo.

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L’importanza di questa scoperta è stata posta in risalto con l’allestimento di una mostra all’interno di Castel Sant’Angelo che consente di poter ammirare da vicino la preziosa immagine compresa la firma dell’autore, cosa non facilmente osservabile una volta ritornata nell’originale destinazione.

Roma – Castel Sant’Angelo – fino al 18 novembre 2017 tutti i giorni dalle ore 9,00 alle 19,00. Biglietto d’ingresso unico per Castel Sant’Angelo (con la mostra di San Luca) e Palazzo Venezia intero €.15,00, ridotto €.7,50.  Ingresso gratuito la prima domenica di ogni mese. Per informazioni e prenotazione telefonare al 06.31810410, consultare il sito web www.art-city.it.

Pollock e la Scuola di New York – In mostra al Vittoriano – Ala Brasini – fino al 24 febbraio 2019

Testo e foto di Donatello Urbani

Per molti storici e critici d’arte l’11 agosto 1956, data della morte di Jackson Pollock, segna la nascita dell’arte contemporanea ed il definitivo trasferimento del principale centro di riferimento delle arti visive da Parigi e New York. L’artista si era fatto notare già da vario tempo nel mondo della pittura ma la vera notorietà arriva nel 1949 con un reportage sulla rivista “Life” che si chiedeva se fosse veramente Jackson Pollok il più importante artista americano vivente. L’artista, in effetti non ha legami né anagrafici né culturali con la vecchia Europa. Nasce a Cody, Wyoming, nel 1912 e le cronache dicono la sua difficile infanzia dovuta al suo carattere ribelle alle buone regole sia della famiglia che della scuola. Una leggenda, alimentata dalla passione per le culture locali,  vuole che la sua cultura si sia formata vivendo a contatto con le tribù indiane rimanendone fortemente influenzata. Importante per la sua carriera artistica è l’incontro, nella metà degli anni trenta, con Lenore (Lee) Krasner, anche lei artista, di cui s’innamora e che sposerà nel 1945. Insieme si trasferiscono a Spings nel Long Island.

20181009_125159                          Jackson Pollock: “Number 17″ 1950. Oil, enamel, and aluminiun paint on composition board

Qui in un capannone industriale Pollock scopre il “dripping”, un modo di dipingere del tutto inedito, un mix tra la ritualità di una danza indiana primitiva e la modernità di un’arte pre-perfomatica. Le dimensioni dei suoi quadri sono sempre più grandi, come dimostra la tela Number 27 esposta in questa rassegna che è lunga oltre 3 metri,  al punto tale da coinvolgere tutto il corpo nella realizzazione, come documentato sia da foto che da brevi filmati del regista tedesco Hans Namuth. I lavori di Pollock sconvolgono completamente i canoni ordinari che hanno costituito una regola inamovibile fino allora e richiamano le attenzioni  su di loro di tutto il mondo dell’arte in particolare dei collezionisti fra i quali spicca per importanza Peggy Guggenhein. La sua vita sregolata, condizionata da una forte dipendenza dall’alcool,  si conclude schiantandosi al volante della propria auto, l’11 agosto 1956, dopo l’ennesima notte brava.

20181009_125220                                                               Jackson Pollock: “Untitled” – 1950. Pennello, inchiostro su carta

Queste note biografiche dell’artista sono illustrate nella prima sezione del percorso espositivo che in complesso si articola in altre cinque sezioni nelle quali sono documentate e messe a confronto con quelle di Pollock le opere dei principale artisti, tutti ispirati  dal nuovo corso dell’arte newyorkese. Scrive in proposito il curatore Luca Beatrice: “…..Jackson Pollock è la super star della pittura americana ma non è solo. Esagerando riconosce che ci sono cinquecento miei coetanei a New York che fanno un lavoro importante”. La seconda sezione presenta le opere di pittori che già a partire dagli anni quaranta dello scorso secolo si allontanano dal realismo e dalla figurazione vedendo nell’astratto il segno di un tempo nuovo. Sono, solo per citarne alcuni,  Arshile Gorky, di origine armena, Robert Mothervel, William Baziotes, nato in Grecia, Mark Tobey, le cui opere sono invase da una fitta calligrafia che si esprime nella purezza del bianco, mentre Bradley Walker Tomlin è tra i precursori, fin dai primi anni Quaranta, del nascente Espressionismo Astratto. La terza sezione è dedicata a Franz Kline, considerato insieme a Polloch, Rothko e de Kooning, tra i massimi interpreti della scuola di New York.

20181009_130418                                                                  Sam Francis: “Abstraction”- 1959. Olio e colori acrilici su lino

Le opere esposte nella quarta sezione ci mettono di fronte al passaggio dalla gestualità e dal vigore dell’Espressionismo Astratto ai Color Field che anticipano le caratteristiche proprie sia del Minimalismo che della Pop Art. In questo contesto si muovono anche artiste femminili, oltre la Lee Krasner, quali Helen Frankenthaler e Grace Hartigan. Scrivono i curatori: “Con Sam Francis la seconda rivoluzione è finalmente compiuta: La nuova pittura è ormai dentro la necessaria sintesi contemporanea che in breve condurrà al Minimalismo, un processo di spoliazione che allontana il dipingere dall’enfasi gestuale dell’Espressionismo Astratto. La quinta e la sesta, ultima sezione, ci presentano rispettivamente Willem de Kooning, di orine olandese, e Mark Rothko, nato in Lettonia.

20181009_130536                                                                Willem de Kooning: “La porta sul fiume”. 1960. Olio su lino.

Il primo pur essendo vicino all’Action Painting non è, come scrivono i curatori: “completamente espressionista astratto perché, pur abbracciandone i principi teorici, non abbandona però la figurazione, conservando nella composizione la presenza di elementi realistici spesso visibili”. Le opere di Rothko, per lo più di grandi dimensioni, presentano, nelle parole scritte dai curatori: “…pennellate stese di colore che tracciano rettangoli luminosi e vibranti, dopo il caos gestuale e segnico dell’Espressionismo Astratto”.

Roma – Complesso del Vittoriano – Ala Brasini – Via San Pietro in Carcere (Lato Fori Imoperiali) fino al 24 febbraio 2019 con orario di apertura alle 9,30 e chiusura dal lunedi al giovedi alle 19,30 – Venerdi e sabato fino alle 22,00 e domenica fino alle 20,30. Costo del biglietto d’ingresso, inclusa l’audioguida,  €.15,00 intero ed €.13,00, ridotto. Congiunto all’altra rassegna su Warhol, intero €.24,00, ridotto €.20,00. Sono previste riduzioni, facilitazioni e gratuità. Informazioni  tel.06.8715111 – sito web www.ilvittoriano.com

Pixar – 30 anni di animazione

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Leggere il futuro è considerato da sempre una delle imprese più difficili e rischiose. Così la mostra “Pixar – 30 anni di animazione”, allestita a Roma nel Palazzo delle Esposizioni, nelle intenzioni dei curatori oltre a rendere omaggio alla casa editrice icona dell’animazione oggi stella dell’impero della Walt Disney, ipotizza il possibile futuro che attende le arti grafiche, applicate, pittoriche e visive in genere.

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Bob Pauley”Woody e Buzz” Toy Story. Penello e matita                 Teddy Newton”Elstigirl” Gli Incredibili.Pennello e matita su fotocopia

Dipingere con i tradizionali strumenti ed apparati dall’uso consolidato apparterrà al passato ed il computer ricoprirà, sia pure gradatamente, sempre più gli spazi che prima erano di competenza esclusiva di colori e pennelli. In questa rassegna sono esposte oltre 400 opere che, come affermato nel corso della conferenza stampa, “mostrano lo spettacolare patrimonio artistico creato per ciascun film. Fatti di disegni a matita e pennarello, dipinti in acrilico, guazzo e acquerello, dipinti digitali, calchi, modelli fatti a mano, tutti lavori nei quali l’arte ed il design giocano un ruolo essenziale e danno vita, insieme all’animazione digitale , al prodotto finito”.

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Tia W.Kratter, layout di GeelweeBoedoe “Formicaio”. Acrilico su cartoncino      Bud Luckey, colore Ralph Eggleton “Woody”.Tecnica mista

Il percorso espositivo è articolato in tre sezioni: Personaggi, Storie, Mondi, alle quali si aggiunge una selezione di video, proiezioni e due spettacolari installazioni: L’Art Scape e lo Zoetrope, che, attraverso la tecnologia digitale fanno rivivere le opere in esposizione grazie al suggestivo fascino dell’animazione. Nel corso dell’intero periodo di esposizione- terminerà il 20 gennaio 2019 – saranno proiettati film  che hanno reso famosa la casa produttrice insieme ad un ciclo d’incontri dove alcuni esperti faranno conoscere ai presenti le loro esperienze di lavoro e di studio adottate nel corso della realizzazione dei loro cartoni animati. Completeranno questo programma parallelo all’esposizione vari laboratori didattici riservati tanto ai giovani, alle scuole quanto ai grandi e famiglie. Dopo aver toccato Roma questa rassegna, inaugurata a New York alcuni anni fa, giungerà nel Messico per poi proseguire con alcune nazioni dell’Estremo Oriente.

Catalogo ricco d’immagini, quasi tutte a colori distribuite in 185 pagine, come si conviene  per illustrare una mostra di animazione.

Roma – Palazzo delle Esposizioni – Via Nazionale, 194 fino al 20 gennaio 2019 con orari nei giorni di domenica martedi, mercoledi, giovedi dalle 10,00 alle 20,00  e nei giorni di venerdi e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Lunedi chiuso. Costo dei biglietti d’ingresso: intero €.12,50 – ridotto €.10,00 sono previste riduzioni e gratuità info al tel. 06.39967500 e sito web www.palazzoesposizioni.it

Lorenzo Lotto e le Marche

Testo e foto di Donatello Urbani

Lorenzo Lotto, uno dei più importanti artisti del nostro rinascimento, veneziano di nascita e di formazione artistica, trovò nelle Marche la sua terra di elezione tanto che proprio all’interno del Santuario di Loreto, dedicato alla Madonna, della quale era sincero devoto, ha trovato la sua sepoltura. A far tempo dal prossimo 19 ottobre e fino al 10 febbraio 2019, la Regione Marche insieme a varie istituzioni pubbliche e private, ha promosso una mostra che partendo dalla sede di Macerata si estende in vati centri lotteschi quali Ancona, Cingoli. Jesi. Loreto, Mogliano, Monte San Giusto, Recanati e Urbino. L’intento  che va oltre il doveroso riconoscimento ad un artista sincero amante la terra marchigiana è stato quella di tenere viva l’attenzione sulle località colpite dai recenti eventi sismici. L’occasione buona è stata offerta dalle attenzioni che varie importanti istituzioni museali hanno recentemente avuto su questo artista che proprio in varie località di questa regione è tutt’ora presente con ben 25 opere. Onore al merito degli organizzatori di questa bella iniziativa che affonda il suo intimo essere nelle profonde e ben consolidate radici culturali di questa regione, è stata quella di non spostare dai luoghi dove le opere furono commissionate all’artista Lorenzo Lotto  e amorevolmente custodite e conservate nei secoli dalla popolazione locale.

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Testimonianza di questo è offerta dal Museo di Recanati dove sono esposte ben tre opere commissionate a Lotto per ornare alcune chiese, fra queste “L’Annunciazione”, un autentico capolavoro  che trova ampie documentazioni in tutti i testi di storia dell’arte e, nello stesso tempo, rende doverosa testimonianza dell’autentica fede e venerazione verso la Madonna nutrita dall’artista stesso. Di non minor interesse è l’offerta turistica insita in questa iniziativa sia perché giunge in un periodo destagionalizzato dai richiami ed interessi turistici, sia per le buone e convenienti proposte offerte dagli operatori turistici locali che interessano, in un arco di tempo relativamente lungo, località che meritano a pieno titolo di essere visitate anche se coinvolte in questa mostra itinerante.

Macerata – Palazzo Bonaccorsi – Musei Civici – Via Don Minzoni, 24  dal 19 ottobre 2018 al 10 febbraio 2019  dal martedi alla domenica- lunedi chiuso – dalle ore 10,00 alle 18,00. Biglietto d’ingresso intero €.10,00, ridotto €.8,00. Sono previste gratuità, facilitazioni e riduzioni varie per le quali si rimanda per informazioni al tel.0733.256361 – Sferisferio 0733.271709, e anche per le altre località ai siti web www.mostralottomarche.itwww.italytolive.it – e. mail info@italytolive.it

Marcello Mariani “Il Tempo dell’Angelo 1956/2014” – In mostra al Vittoriano – Ala Brasini (Lato Fori Imperiali).

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Un’occasione più unica che rara è presente nelle tre aree espositive del Vittoriano per scoprire il profondo legame tra due avanguardie statunitensi fra le più importanti sorte nel dopoguerra: Pop Art e Action Painting, nei suoi massimi esponenti, Andy Warhol e Jackson Pollock, e la pittura informale italiana, rappresentata da uno dei suoi massimi esponenti Marcello Mariani.

IMG_20181001_185321                                                           Senza titolo – 1956. Tecnica mista e collage su tela applicata su tavola

La rassegna che espone le opere pittoriche di Mariani, promossa dalla Regione Abruzzo, curata dalla storico dell’arte e saggista Gabriele Simongini, ripercorre i 60 di carriera di questo artista, tutti improntati su una costante personale ed autonoma riflessione sull’arte informale in controtendenza con quella seguita da troppi artisti italiani che furono  seguaci  imitatori dell’arte d’oltre oceano. Significativo in proposito quanto scrive il curatore Simongini: “La sua formazione era stata influenzata, per certi aspetti, dall’esempio e dall’opera di certi artisti come Licini, Burri, Fontana, Beuys e Raushenberg che lo indussero a sviluppare una visione sempre più poetica, intensa ed anarchica del mondo. La pittura come territorio magico in cui ripercorre le fratture, le divisioni, le separazioni come rito di passaggio dal visibile all’invisibile, come lavorio inesausto di purificazione interiore in contatto con i sommovimenti segreti del mondo”.

IMG_20181001_185636                                                                       Forma archetipa 91 – 2010. Olio e tecnica mista su tela

Sempre Simongini ci offre una spiegazione del titolo della rassegna: “ Il Tempo dell’Angelo fa riferimento al fatto che spesso nelle opere di Mariani affiorano con forza abbagliante, da dimensioni sovrumane,  presenze angeliche che sono anche scariche di energia catartica, epifanie luminose e portatrici di un vento di rinnovamento”.  Le opere presenti lungo tutto il percorso espositivo ci offrono uno spaccato di tutta la carriera artistica di Mariani, lunga quasi sessant’anni, in cui l’artista si è imposto tanto in ambito nazionale quanto internazionale per la costante “riflessione sulla pittura informale, evoluta poi in un linguaggio libero da qualsiasi definizione precostituita”, come scrive il curatore. Di particolare intensità sono le opere che Mariani creò dopo la terribile esperienza  del terremoto che nel 2009 distrusse L’Aquila. In quella circostanza l’artista, fra le altre cose, perse il suo atelier e questo, non avendo più un riferimento dove creare le proprie opere, fu certamente la molla che lo spinse a girovagare fra le macerie e da queste trarre ispirazione e stimoli per le proprie opere. Altrettanto significativa è la produzione del post terremoto quando tolte le macerie fonte d’ispirazione furono le prime ricostruzioni.  Ulteriore testimonianza di questa tragedia sono le fotografie di Gianni Berengo Gardin con uno speciale reportage sull’amico di sempre Marcello Mariani. “20 scatti, come scrivono i curatori, realizzati prima del sisma dal grande maestro della fotografia che ci restituiscono uno spaccato di vita intima e potente di Mariani”.

Roma – Complesso del Vittoriano – Via San Pietro in Carcere – Ala Brasini (Lato Fori Imperiali) fino al 4 novembre 2018 con ingresso gratuito con orari; dal Lunedi al Giovedi 9,30/19,30 – Venerdi e Sabato 9,30/22,00 e Domenica 9,30/20,30

Je suis l’autre – Giacometti Picasso e gli altri. Il primitivismo nella scultura del Novecento.

Testo e foto di Donatello Urbani

Mostre di scultura non sono così frequenti a Roma e questa allestita nelle suggestive sale delle Terme di Diocleziano, che normalmente ospitano opere archeologiche di scultura classica, può essere salutata con vera soddisfazione anche per il soggetto considerato sicuramente innovativo. Il titolo, in lingua francese, vuole chiaramente indicarci il luogo di nascita di un nuovo stile e modo di scolpire definito “Primitivismo” che nacque in Francia nella seconda metà dell’Ottocento quando i colonizzatori iniziarono a raccogliere e mettere insieme manufatti realizzati da artigiani ed artisti prodotti nei territori d’oltre mare, come si usava chiamare allora le terre colonizzate.

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Busto in pietra raffigurante un antenato fondatore del villaggio                                                          Mirko Basaldella:”Idolo”-1961

Queste opere, una volta giunte nella madre patria, passarono di mano dai colonizzatori ai galleristi e ai collezionisti destando anche le attenzioni degli artisti della prima metà del XX secolo che nel frattempo avevano aperto nuovi orizzonti e prospettive alle arti figurative.          

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Scultura in legno e capelli umani: Principe Tschibinda Iluba –                                                              Pablo Picasso:”Visage”-1961

Questa nuova visione che non informava trasversalmente una sola corrente artistica entrò a far parte di precise scelte stilistiche  ed importanti come il cubismo, l’espressionismo tedesco anche nella versione francese chiamata “fauve” e di molte altre “avanguardie”, fino alle soglie della modernità quando a partire dagli anni 1960 un’altra forma di colonialismo, ben più sofisticata della precedente, denominata globalizzazione porrà il primitivismo fra le correnti artistiche passate. Così non sorprende che questa bellissima mostra allestita lungo le grandi  Aule delle Terme di Diocleziano, metta a confronto i totem, i bastoni magici degli sciamani, i  simboli rappresentativi delle civiltà che prima di allora erano ritenute primitive e le maschere funerarie che sembrano dire chi sei tu che mi guardi?,  con le opere di artisti ritenuti pietre miliari delle arti figurative quali Picasso, Giacometti, Man Ray, Georges Braque, Jean Dubuffet, Arnaldo Pomodoro, Piero Manzoni, Mirko Basaldella, Pietro Consagra, Marino Marini e Enrico Bay, solo per citarne alcuni.

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Sezione di pilastro di legno posto all’ingresso di una “casa delle anime” .            Arnaldo Pomodoro: “Colonna del viaggiatore” – 1962

L’essersi ispirati ai simboli primitivi identificativi di popolazioni  diverse, aprendosi culturalmente ad esse ed aver battezzato il loro movimento artistico “Privitimismo”, fu un’apertura ed un passo importante verso quei principi di democrazia ed eguaglianza che molti artisti, prevalentemente europei, fecero propri nel secolo scorso in cui tendenze autoritarie e dittatoriali sembravano dovessero affermarsi proprio in quelle nazioni ritenute avanguardie di civiltà senza riserve.

Roma – Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano – Via Enrico De Nicola, 78 fino al 20 gennaio 2019 con orario dalle 9,00 alle 19,30 dal martedi alla domenica. Biglietto d’ingresso €.12,00, ridotto €.10,00, ridotto scuola €.5,00, con data aperta €.13,00. Costi biglietti d’ingresso mostra  + museo €.15,00 acquistabile solo on line su www.museonazionalesomano.beniculturali.it.  Riduzioni e gratuità come stabilite dalla legge. Info sul sito www.electa.it – tel.06.39967700

Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Berberini ospita contemporaneamente due mostre che espongono, insieme ad altre opere pittoriche, due capolavori dell’arte Italiana: L’Ecce Homo di Andrea Mantegna e I Maestri della Madonna Straus

Testo e foto di Donatello Urbani

Dopo cinquecentotrenta anni Andrea Mantegna ritorna a Roma e, per l’occasione, occupa uno spazio di gran prestigio del Palazzo Barberini nel quale è stata allestita una mostra con una sua opera proveniente dal Museo Jacquemart  Andrè di Parigi che prende il nome “La stanza di Mantegna” dove “L’Ecce Homo” occupa il ruolo di primo piano.

20180926_105117                                             Andrea Mantegna; “Ecce Homo” – 1500 circa. Tempera su tela montata su tavola

A Roma non si conservano opere autografe di Mantegna e questa rassegna è un’occasione unica  per stabilire un approccio con un  grande interprete della pittura italiana della seconda metà del quattrocento e del primo cinquecento. Per l’occasione sono state scelte altre cinque opere che completano l’esposizione della sala che comprendono oltre la “Madonna con il Bambino tra i Santi Gerolamo e Ludovico di Tolosa” ritenuta un’opera giovanile di Mantegna, insieme ad altra “Madonna col Bambino” di Giovanni Battista Cima da Conegliano, un raro ritratto su pergamena di Giorgio Schiavone, un bronzo raffigurante” Mosé “di Andrea Briosco, detto il Riccio e il disegno di Scuola Mantegnesca  con soggetto “Ercole e Anteo”.

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                                                                Giovanni Cima da Conegliano: “Madonna con il Bambino”

“Questa selezione”, nelle parole del curatore Michele Di Monte, “è incentrata sul capolavoro di Andrea Mantegna Ecce Homo, chiara sintesi d’inizio cinquecento tra le esigenze della pittura devozionale e una costruzione scientifica delle forme anatomiche e dello spazio.” La sala attigua accoglie l’altra mostra dal titolo “Gotico americano. I Maestri della Madonna Straus”  che ruota intorno a due tavole, rare quanto pregiate, del trecento italiano tra i pezzi più importanti della collezione del Museum of  Fine  Arts di Houston. Entrambe le tavole tra loro complementari sia stilisticamente che per essere al centro di uno scambio di opere pittoriche fra le due istituzioni museali.  Sono giunte qui a Roma alla Galleria Nazionale dì’Arte Antica in cambio del prestito del Ritratto di Enrico VIII di Hans Holbein che farà parte delle opere esposte nella mostra sui Tudor organizzata dal Museum of Fine Arts di Houston. La prima tavola, la più antica, “Madonna con il Bambino”, conosciuta come opera del Maestro senese della Madonna di Straus,  è attribuita ad un pittore delle metà del XIV secolo, influenzato dalla maniera di Simone Martini, del quale tramanda i modi raffinati e preziosamente stilizzati. La seconda tavola anch’essa raffigurante una “Madonna con il Bambino” e conosciuta come opere del Maestro della Madonna di Straus è invece attribuita ad un anonimo pittore fiorentino degli inizi del XV secolo erede della tradizione della pittura gotica toscana. Il comune riferimento alla “Madonna di Straus” è dovuto al collezionista statunitense Perxcy Selden Straus (1876/1944) che insieme alla moglie Edith Abraham (1882/1957) raccolse molte opere pittoriche tra cui alcuni capolavori della pittura italiana gotica e rinascimentale, successivamente acquistati dal Museo di Houston. Tutte queste opere  sono testimoni di un’importante fase della storia del collezionismo d’arte europeo della fine del XIX secolo, segnato dalla crescente passione per le opere del Rinascimento italiano con una particolare predilezione per i maestri delle scuole toscane e veneta. Grazie a queste nuove forme di gestione dei beni culturali è oggi possibile ammirare capolavori d’arte che diversamente sarebbero stati gelosamente interdetti alla pubblica fruibilità.

Roma – Palazzo Barberini – Via delle Quattro Fontane, 13, fino al 27 gennaio 2019 con orario dalle 8,30 alle 19,00 dal martedi alla domenica. Biglietto d’ingresso intero €.12,00 ridotto €.6,00 e consente di visitare anche le collezioni museale dei Palazzi Barberini e Corsini con una validità di 10 giorni dalla timbratura.  Info www.barberinicorsini.orgcomunicazione@barberinicorsini.org

 

Andy Warhol – Al complesso del Vittoriano

Testo di Giorgia Lattanzi e Mariagrazia Fiorentino – foto Donatello Urbani

Sono trascorsi trent’anni ma il tempo e l’arte di Andy Warhol, padre della Pop Art, è come non se ne fosse mai andato. Una mostra antologica con circa 170 opere ripercorre le tappe della sua carriera e inaugura uno sguardo d’eccezione sul mondo della società newyorkèse che l’artista ha amato e catturato in tutte le sue manifestazioni: Musica, Moda, Fotografia, Cinema.

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Alla ricerca di “15 minuti di notorietà” che ha trovato inizialmente nascosta dentro quei prodotti di consumo di massa come la celebre Coca Cola o le zuppe della Campbell’s (1962). L’industria alimentare iniziò a fare prodotti uguali per tutti. Sia i poveri che i miliardari bevevano e mangiavano gli stessi sapori. Una rivoluzione che il timido disegnatore, chiamato inizialmente Andy lo straccione, non si fece sfuggire e sulla quale edificò il suo impero. L’arte divenne un Oggetto di Consumo. Warhol nel 1963 ha dato vita alla sua Silver Factory.

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Iniziando a creare opere d’arte che potessero raggiungere le masse. Inizia così un lungo periodo di produzione artistica ispirata al mondo della mondaneità che lui tanto amava ed è grazie all’uso della serigrafia che può realizzare infinite combinazioni di ritratti e di effetti cromatici sempre diversi. L’euforica combinazione tra soggetti, colori e polaroid sembrano soddisfare e alimentare il genio dell’artista che sfrutta la notorietà delle icone del suo tempo per dar vita ad un operazione POP senza precedenti.

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                               Liz                                                                                                                                                            Marylin

La famosissima serie delle Marilyn (1967), i Self-Pportrait di LIiz(1964), di Mao, di Mick Jagger, parlano lo stesso linguaggio stilistico delle sue amate Drag Queen (1975). Ancora una volta annullando la differenza tra le classi sociali. La sua impronta era ormai entrata in tutti i settori ed infatti nel 1967 disegna un’altra icona dei nostri tempi: la copertina del disco dei Velevt Undergroun e Nico con la celebre Banana. Nel 1969 fonda la rivista Interview  grazie alla quale eseguirà una serie ininterrotta di scatti fotografici a tutte le star del cinema e soprattutto della moda tra cui il giovane Giorgio Armani, Gianni Versace, Valentino. Catturando in quegli scatti tutti i volti che hanno reso celebre il “sogno americano”.

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Fu lo stesso Warhol che scoprì, in questa atmosfera magica di NY, un ragazzo che diventerà poi uno dei più famosi ed emblematici precursori del graffitismo americano J.M.Basquiat. Nel 1984 venne commissionato a Warhol un gruppo di opere basate sull’ultima cena di Leonardo Da Vinci dal collezionista greco Iolas che le espose a Milano presso il “Palazzo delle Stelline”. Fu proprio in questa occasione che il collezionista Eugenio Falcioni conobbe le opere dell’imperatore  americano della Pop Art. Prima di quest’incontro, il signor Falconi collezionava solo opere d’Arte Antica e in seguito inizia ad appassionarsi a Warhol divenendo ad oggi il maggior collezionista sul territorio nazionale italiano. Il collezionista Iolas costruì ad Atene una villa di 1300mq, una casa museo per ospitare la sua collezione. Dopo la sua morte l’intera area fu venduta ed in seguito espropriata dal Ministero dei Beni Culturali; una manovra burocratica che bloccò qualsiasi tipo di intervento di recupero. Attualmente la villa è in uno stato di degrado ed è stata “vandalizzata”. Mi chiedo, se per ironia della sorte, qualche ignoto writers non abbia dipinto lì una sua opera, apportando così il suo contributo ad un sogno, mai realizzato, di uno dei collezionisti più importanti del secolo scorso?

Roma – Complesso del Vittoriano- Ala Brasini Via San Pietro in Carcere, Roma. Fino al 3 febbraio 2019. Biglietti d’ingresso: Intero € 13.00 – Ridotto € 11.00. Info www.ilvittoriano.com

Marcello Mariani – Forme dal terremoto.

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

Gli eventi sismici che nell’anno 2009 colpirono la città de L’Aquila hanno segnato in maniera indelebile non solo la vita privata di Marcello Mariani, (L’Aquila 1938/2017), bensì hanno rappresentato anche un punto di svolta in quella artistica.

IMG_20180918_180203            Marcello Mariani: “Forma Archetipa” – 2008. Olio e tecnica mista su tela. Opera realizzata prima del sisma del 2009

Dopo aver perso sia lo studio che l’abitazione era frequente incontrare Marcello Mariani mentre camminava in silenzio nella periferia dell’Aquila deturpata dal sisma, mentre raccoglieva pezzi d’intonaci e calcinacci lungo strade deserte di quartieri evacuati, come scrive Gabriele Simoncini nel catalogo che accompagna la mostra allestita all’Accademia di Belle Arti di Roma e curata dallo stesso Simongini insieme al figlio dell’artista, Daniele Mariani. Quanto raccolto veniva usato per “creare nuove  e bellissime opere astratte in cui c’è, anche fisicamente, tutta quell’apocalisse” sono sempre parole di Simongini che proseguono con: “…In un legame indissolubile tra l’artista e la sua città natale, i muri da lui dipinti sono stati anche di buon auspicio e quasi di stimolo ideale per la rinascita di uno dei simboli della città. La cinta muraria trecentesca, oggi in gran parte restaurata dopo il terremoto del 2009. Insieme a una quindicina di opere, tutte realizzate nel 2009,sono esposti tre grandi quadri degli anni successivi che testimoniano le stratificazioni di memorie, di segni, di voci di storie dimenticate che animano i palinsesti dipinti da Mariani.”

IMG_20180918_180940                                        Marcello Mariani: “Forma Archetipa” – 2009. Frammenti d’intonaco. Tecnica mista su tavola

Fanno da cornice alle opere pittoriche alcune fotografie in bianco e nero scattate da Gianni Berengo Gardin che oltre a testimoniare le distruzioni provocate dal sisma offrono momenti di sincera amicizia che lo stesso fotografo nutriva per l’amico pittore. Questa rassegna, tiene a precisare Daniele Mariani, fa da apripista a quella che “voluta dalla Regione Abruzzo nell’occasione del decennale degli eventi sismici, sarà allestita nei prestigiosi spazi del Complesso del Vittoriano”.

IMG_20180918_180236                                                            Marcello Mariani: “Forma Archetipa” – 2012. Olio su tela

L’aver fatto una sosta all’Accademia di Belle Arti di Roma, seppur breve fino al 29 settembre, è un segno del “profondo rispetto che l’artista nutriva per questa istituzione soprattutto per il messaggio creativo ed etico trasmesso ai più giovani, per quel senso di memoria in divenire espresso anche dalle sue opere post terremoto”, come scrive sempre nel catalogo Gabriele Simongini.

Roma – Accademia di Belle Arti – Sala Colleoni – Piazza Ferro di Cavallo (Via di Ripetta) fino al 29 settembre 2018 con ingresso gratuito.

Sergio Ceccotti – Il romanzo della pittura 1958/2018 – In mostra al Palazzo delle Esposizioni

Testo e foto di Mariagrazia Fiorentino e Donatello Urbani

La visita a questa mostra allestita nelle sale a piano terra con ingresso da Via Milano – Spazio Fontana, –  visitabile gratuitamente, riserva simpatiche sorprese ad iniziare proprio dalle opere esposte che c’introducono all’interno della vita dello stesso artista che si apre ai visitatori rivolgendo loro un invito ad entrare nelle sua abitazione, in mezzo ai suoi amici fra i luoghi da lui frequentati fin dagli anni della primaria formazione artistica.

20180910_184444                                                                    Sergio Ceccotti: “Le quattro stagioni” – 1975/79. Olio su tela

Le circa 40 opere, allestite lungo il percorso espositivo seguendo un ordine cronologico, ripercorrono il personale “romanzo della pittura” lungo sessant’anni di attività, dal 1958 al 2018. Sergio Ceccotti, antesignano della figurazione italiana contemporanea,lungimirante erede della metafisica dechirichiana e del realismo magico, come ce lo presenta la critica, si è formato nel corso di questi cinquant’anni, seguendo: “…suggestioni neocubiste (Il giradischi, 1958; Ricordo d’Olanda, 1959)” come scrivono i curatori, per giungere, “ a quelli della prima metà degli anni Sessanta nei quali riecheggia potente l’espressionismo tedesco (Al bar II, 1962). Gli anni successivi sono quelli della formazione, sempre negli scritti dei curatori: “chiamato realismo ceccottiano, una visione pittorica colta, raffinata e originale che distilla spunti della storia dell’arte, che impiega artifici retorici del cinema alla Hitchcock, del fumetto (come Diabolik delle sorelle Giussani), della fotografia, del fotoromanzo e della letteratura di genere, dal racconto poliziesco alla Hammett o alla Chandler, alla narrativa di autori contemporanei come Georges Perec, Patrick Modiano, Antonio Tabucchi o Paul Auster. Nei dipinti di Ceccotti si rinnovano anche gli spunti dei rebus o meglio, dei disegni dell’illustratrice della Settimana Enigmistica Maria Ghezzi”.

20180910_184227                                                                           Sergio ceccotti: “Plein air” – 2001. Olio su tela

A questo proposito sono significative le dichiarazione dell’artista «Il mio interesse per questi disegni non nasceva da una grande passione per i rebus, anche se mi diverte risolverli, ma dal fascino che quelle scene emanavano, un fascino che tenterò di spiegare. Gli accostamenti di oggetti incongrui, ingrediente principale di ogni rebus, non producono qui un effetto disturbante di tipo surrealista, ma sono tranquillamente assorbiti dalla scena generale, come se in quel mondo fosse naturale che un ragazzo lotti con un serpente tra l’indifferenza di altri personaggi che contemplano le barche sul fiume, mentre su una pietra in primo piano una teiera e una tazza attendono, accanto a due grossi coltelli».  Il percorso espositivo si conclude con il documentario inedito su Sergio Ceccotti dal titolo Cercando il Signor S. (2018) prodotto e realizzato da RUFA – Rome University of Fine Arts.

20180910_184739                                                                          Sergio Ceccotti: “Canzone notturna” – 2012 – Olio su tela
La mostra è accompagnata da un catalogo a cura di Cesare Biasini Selvaggi, edito per i tipi di Carlo Cambi editore, che include il saggio del curatore, le tavole e le schede delle opere esposte, un’antologia di testi critici dedicati all’artista, un’estesa cronologia e una sezione di apparati espositivo-bibliografici.
Roma – Palazzo delle Esposizioni, via Milano 13 – 00184 Roma fino al  14 ottobre 2018 con ingresso libero. Nei giorni di  domenica, martedì, mercoledì e giovedì: dalle 10.00 alle 20.00; venerdì e sabato: dalle 10.00 alle 22.30; lunedì chiuso; informazioni  www.palazzoesposizioni.it