Franco Simongini “Come nasce un’opera d’arte” – Quando la televisione ha preso sul serio le arti figurative.

Testo e foto di Donatello Urbani

La capacità di saper presentare al meglio un’opera d’arte, alla stregua del genio artistico indispensabile per la sua realizzazione, è nelle preziose mani di “madre natura”. Entrambe rivestono  identica importanza ed entrambe si dividono meriti e fortune così come “toccati dalla dea bendata” sono considerati, dall’opinione pubblica, tutti coloro che ne vengono beneficiati. Questa magica opportunità viene dispensata sugli esseri umani con il contagocce ed ancor più rara è che venga trasferita da padre in figlio; cosa che invece è avvenuta fra Gabriele Simongini ed il padre Franco, primo critico/storico dell’arte che ha curato, a partire dal 1969, le fortunate trasmissioni televisive di Rai Teche su come nasce un’opera d’arte, in prevalenza contemporanea, anche, e principalmente, con il coinvolgimento degli stessi artisti.

IMG_20171121_113855 Il figlio Gabriele, docente all’Accademia D’Arte di Roma e uno fra i più quotati critici e storici d’arte contemporanei, ha curato, in collaborazione con Rai Teche, un convegno dal titolo “Come nasce un’opera d’arte” corredato dei più interessanti documentari d’arte realizzati dal padre Franco tra gli anni 1960 e 1991 che per primo, almeno in Italia, offrirono la bellissima opportunità di coinvolgere l’opinione pubblica nei nuovi sentieri tematici percorsi dall’arte contemporanea. Rivisti, a distanza di tempo, queste trasmissioni televisive hanno conservato intatta la loro bellezza ed attrattiva senza trascurare anche il loro alto valore didattico. Non per niente il tutto si è svolto nell’aula magna dell’Accademia d’Arte di Roma dove la presenza degli allievi è stata molto numerosa. All’insito valore didattico si è aggiunto anche quello storico e documentaristico sullo status dell’arte e sul modo in cui venivano presentati agli spettatori televisivi di quegli anni. Per quanti hanno avuto la fortunata opportunità di seguire in “presa diretta”, come si usava dire in quegli anni, queste interessanti trasmissioni è stato un tuffo nostalgico negli anni giovanili mentre i tanti che per la prima venivano a contatto con questi documentari hanno potuto trarre spunti, riflessioni ed idee sul mondo in cui si muovevano le arti figurative negli anni immediatamente precedenti ai loro.  La comprensione  e la lettura del messaggio che molti artisti hanno voluto rivolgere al grande pubblico non sempre è stato agevole in tutte le epoche. Significativi, forse anche per essere i più noti, i rifiuti opposti alle opere di Caravaggio  che, tutto sommato, sono stati solo  un episodio intermedio succeduto  ai tanti precedenti e successivi che hanno dovuto affrontare nel corso degli anni moltissimi artisti. Causa comune a tutti è sempre stata la mancata o parziale conoscenza e comprensione, delle arti figurative contemporanee. Cosa presente anche ai giorni nostri. Una buona soluzione a questo problema potrebbe essere offerta dal riproporre queste trasmissioni, sia pure con le dovute correzioni dettate dalle nuove tendenze e tecnologie, ma che comunque avrebbero nuovamente il meritorio pregio di rendere leggibili e comprensibili i tanti messaggi che quotidianamente ci rivolgono gli artisti attraverso le loro opere. L’iniziativa di Gabriele Simongini è meritoria anche per questo.

Monet – Capolavori dal Musèe Marmottan Monet, Parigi

Testo e foto di Donatello Urbani

Delle oltre cento opere d’arte custodite nella casa museo Marmottan a Parigi pervenute nel 1966 a seguito di un lascito di Michel Monet, figlio del famoso pittore Claude, ben 56 sono presenti nella mostra allestita nell’apposito spazio espositivo del primo piano – ala Brasini – al Vittoriano di Roma. “Sono tele”, ha dichiarato Marianne Mathieu, direttrice del Musée Marmottan e curatrice della mostra, “che l’artista stesso voleva trattenere, forse dubitando che il suo nuovo stile pittorico non sarebbe stato accettato dalla critica e forse anche rifiutate dal pubblico”. Solo quando la fama consolidatasi dopo la morte del maestro le ha poste al sicuro dalle critiche è stato possibile esporle ed oggi sono accettate anche come innovatrici dell’arte pittorica e prime testimonianze di un nuovo corso che si affermerà e sarà dominante in seguito per molti anni.

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Il percorso espositivo inizia portandoci attraverso un gioco di luci e foto nel giardino di casa Monet a Giverny. Una volta ammessi nell’abitazione incontriamo i primi lavori di Monet. Sono delle caricature che in parte venivano regalate agli amici e in parte vendute a 10 o 20 franchi  consentendo al pittore di sopperire alle necessità economiche della famiglia che si era formato, sposando nel 1870, la sua modella Camille Doncieux e che nove anni più tardi lo lascerà vedovo con due figli Jean e Michel.

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In seguito si legherà ad Alice Hoschedé ed ai sei figli da lei avuti dal precedente marito Ernest, formando una famiglia allargata che sarà sempre amata e venerata dal pittore. Prima di stabilirsi a Giverny Monet inizia un pellegrinaggio per l’Europa, con una preferenza per le varie località francesi, in cerca, dicono i suoi critici, di motivi e stimoli per la sua pittura. Sono in prevalenza ritratti di paesaggi, opere di cavalletto, che Monet realizza dal vivo attratto delle bellezze naturali.

IMG_20171018_125126                                                                                                                                         Normandia

Questo desiderio di ritrarre la natura é il file rouge che lo accompagnerà per tutta la vita, anche quando, nel 1890, diverrà il proprietario di una casa “dall’intonaco rosa” a Giverny che sarà un punto di riferimento fisso sia per la sua vita privata quale rifugio dopo i suoi viaggi più o meno lunghi in tutta Europa, sia per l’attività artistica con le tante tele che a partire dal 1902 riproducono le ninfee amorevolmente coltivate essendo anche un appassionato giardiniere. I primi anni del ‘900 offrono agli artisti,, in particolare ai pittori, una fonte d’espirazione in più giunta dall’oriente: il “japanisme” e Monet non poteva lasciarsi sfuggire questa bella occasione specie nell’introdurre nel proprio giardino elementi ispirati ai giardini giapponesi in particolare con i caratteristici ponticelli che collegano le due sponde dello stagno. Per Monet questi anni segnano anche una difficile situazione familiare dovendo assistere alla morte di molti suoi amati familiari. Amarezza e sconforto  traspirano anche in alcune sue opere.

IMG_20171018_125529                                                                                                                                             Ninfee con agapanti

Scrivono in proposito i curatori: “…..Monet, appartato nel suo giardino, dedica una serie di tele al salice piangente come a riecheggiare l’angoscia e la tristezza che lo attanagliano. Non c’è dubbio che fosse legato a quest’albero da un rapporto di affetto: aveva piantato personalmente vari esemplari di salice sulla sponda del suo giardino acquatico e trascorreva lunghe ore a contemplarli. Nella serie dipinta tra il 1918 ed il 1922, lo stagno, il cielo, le nuvole e i fiori scompaiono, le composizioni si concentrano sul tronco solitario e l’ondulazione dei rami, la superficie della tela è saturata da una pioggia verticale di vibrazioni di colore…..”  Trascorsi pochi anni anche Monet abbandonerà per sempre il suo giardino lasciando nella sua casa dall’intonaco rosa una serie di tele, quelle che più da vicino lo hanno accompagnato lungo tutta la sua vicenda umana ed artistica: tele che adesso possiamo ammirare visitando questa rassegna.

Roma – Complesso del Vittoriano – Via S.Pietro in Carcere (lato Fori Imperiali) fino all’11 febbraio 2018 con orari dal lunedi al giovedi 9,30/19,30,  venerdi e sabato fino alle 22,00 e domenica fino alle 20,30. Biglietto d’ingresso intero €.15,00- ridotto €.13,00 inclusa l’audioguida. Previste riduzioni e gratuità. Informazioni e prenotazioni www.ilvittoriano.com –tel. O6.8715111

HOKUSAI – Sulle orme del maestro – . In mostra a Roma all’Ara Pacis

Donatello Urbani

Nelle Sacre Scritture occidentali sia il mare che l’acqua, in generale, sono considerati depositari del male e fonti di pericolo. A queste tesi si contrappone, restando sempre in occidente, la teoria  laica dei sogni di Freud, dove l’acqua, il più onirico dei liquidi, ha un ruolo essenziale. Cadere nell’acqua, o uscirne, simboleggia la nascita, mentre il mare con la sua vastità rappresenta l’inconscio. Percependo nel mare una metafora dell’inconscio, la psicanalisi afferma quello che molti hanno già intuito naturalmente: il mare è un riflesso del mondo.

01. HOKUSAIKatsushika Hokusai: “La [grande] onda presso la costa di Kanagawa”, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832 circa. Silografia policroma. Kawasaki Isago no Sato Museum

La mostra allestita all’Ara Pacis con circa duecento opere ukiyoe – letteralmente “immagini del Mondo Fluttuante – ha come riferimento simbolico, la “Grande Onda”, opera  realizzata da Katsushika Hokusai (1760-1849), maestro indiscusso dell’ukiyoe, che insieme  alla grande forza sprigionata e la potenza protesa verso il cielo ci presenta, quasi in contrapposizione, il paesaggio idilliaco del monte Fuji. Questa opera  ebbe notevole successo in occidente, testimoniato sia da una grande diffusione con  numerose riproduzioni, che dall’influenza esercitata sugli artisti parigini di fine Ottocento, tra i quali Manet, Toulouse Lautrec, Van Gogh e Monet e tutti gli altri che insieme diedero vita al movimento del “Japonisme”. Indubbiamente  la Grande Onda, così come quelle che ad essa trassero ispirazione, tutte con soggetti marini o comunque acquatici,  trovarono nei decenni successivi, anche fuori dai confini nazionali, terreno fertile per affermarsi e rappresentare un  punto d’incontro tra la cultura e le teorie occidentali con il gusto estetico orientale. Scrivono in proposito i curatori: “la mostra intende illustrare la produzione del Maestro in fecondo confronto con quella di alcuni tra gli artisti che, seguendo le sue orme, dettero vita a nuove linee, forme, equilibri di colore all’interno del tradizionale filone dell’ukiyoe. Hokusai ha esplorato soggetti di ogni tipo: dal paesaggio alla natura, animali e fiori, da ritratto di attori del teatro kabuki a quello di beltà femminili e guerrieri fino alle immagini di fantasmi e spiriti e di esseri e animali semileggendari. Era uno sperimentatore che variava formati e tecniche: dai dipinti a inchiostro e colore su rotolo verticale e orizzontale, alle silografie policrome di ogni misura destinate al grande mercato, fino ai più raffinati “surimono”, utilizzati come biglietti augurali, calendari per eventi, incontri letterari, cerimonie del tè, inviti a teatro. I volumi dei “Manga” raggruppano centinaia di schizzi e disegni compendiari dello stile innovativo ed eccentrico del Maestro. Stampati in solo inchiostro nero con qualche tocco di vermiglio leggero,rappresentano modelli per ogni genere di soggetto messi a disposizione di giovani artisti e pittori”.

Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni e presentano tanto le opere di Hokusai che quelle di artisti che a lui si sono ispirati, tra questi Keisan Eisen, che, come scrivono i curatori fu: “apprezzato sia in patria sia tra gli estimatori europei di arte giapponese dell’Ottocento per i suoi ritratti di beltà che furono presi a modello anche da Van Gogh. Tra le opere di Eisen – la cui figura artistica è presentata in Italia per la prima volta in questa mostra – è la bellissima e imponente figura di cortigiana che Van Gogh dipinge alle spalle di Père Tanguy nell’omonimo ritratto, pubblicata anche in copertina del Paris Le Japon Illustré nel 1887”.

06. HOKUSAI                                            Katsushika Hokusai: Il Monte Fuji al tramonto, 1843. Dipinto su rotolo. Collezione privata

La prima sezione dal titolo “Meisho”: mete da non perdere” espone due rotoli, mettendoli a confronto, che hanno il Monte Fuji protagonista: il “Monte Fuji all’alba” dipinto da Hokusai 1843 – con un riverbero rosato delle luci dell’aurora con “Veduta del monte Fuji nel piccolo sesto mese’’ realizzato nel 1837 da Totoya Hokkei (1780-1850), allievo di Hokusai che raffigura il monte avvolto da un cerchio nebuloso biancastro con la cima coperta dal cappuccio di neve. In questa sezione sono presenti oltre un album di Hokusai che raffigura le cinquantatre stazioni del Tōkaidō abbinate ad attività quotidiane e mestieri tipici, stampate con minuzia di particolari e pochi vivacissimi colori, anche immagini dei luoghi celebri (meisho) che in epoca Edo godevano di popolarità tale da essere prodotte in serie. Le silografie erano anche in forma di gioco da tavolo come il sugoroku (simile al gioco dell’oca ma in questo caso d’autore) o rilegate in libri o album illustrati in più volumi sulla città di Edo, (Tokyo) sul Tōkaidō e altri luoghi famosi. In questa sezione sono esposte, alternativamente per ragioni conservative, due diverse versioni della “Grande onda”, una proveniente dal Museo d’Arte Orientale “Chiossone” di Genova e l’altra dalla collezione Kawasaki Isago no Sato Museum.

09. EISENKeisai Eisen: “Totsuka: Masuyama di Matsubaya” dalla serie: “Gioco del Tōkaidō con cortigiane: Cinquantatré coppie a Yoshiwara”, 1825. Silografia policroma, 37,9 × 25,6 cm Chiba City Museum of Art

Nella seconda sezione: “Beltà alla moda” sono esposte immagini legate al mondo della seduzione rappresentate da raffinati dipinti su carta o su seta nel formato del rotolo verticale da appendere, firmati da Hokusai, da Eisen e dagli allievi più vicini a Hokusai, tra cui Teisai Hokuba, Katsushika Hokumei, Ryūryūkyo Shinsai, Gessai Utamasa. Di Eisen sono presenti alcune “immagini pericolose” – abunae-, così chiamate per la raffigurazione di scene amorose, come per esempio l’album in dodici fogli di grande formato, uno per ogni mese dell’anno.

05. HOKUSAIKatsushika Hokusai: “Il Fuji da Gotenyama presso Shinagawa sul Tōkaidō,”  dalla serie “Trentasei vedute del monte Fuji”, 1830-1832 circa. Silografia policroma. Kawasaki Isago no Sato Museum

Nella terza sezione: “Fortuna e buon augurio” sono esposti alcuni surimono di Hokusai di grande formato orizzontale che raffigurano alcune delle stazioni del Tōkaidō, accanto a surimono di Eisen,realizzati invece nel piccolo formato quadrato, che rappresentano località ma soprattutto oggetti scelti per il loro valore simbolico e benaugurale legati ad un preciso momento dell’anno, della stagione, delle festività e delle credenze popolari. Per la prima volta sono mostrati undici rotoli dipinti di una serie di dodici, firmati da Hokusai, con figure di saggi e immortali, oltre a figure del repertorio del teatro kyōgen.

Nella quarta sezione; “Catturare l’essenza della natura”, sono messi a confronto due dipinti di Hokusai di medesimo soggetto – la tigre e il bambù – uno del 1818 e uno del 1839. Interessante il confronto tra gli stili di Hokusai e di Eisen nella resa di un identico soggetto: una carpa.

Nella quinta sezione: “Manga e manuali per imparare” oltre ai famosissimi manuali di Hokusai stampati con il solo contorno nero-grigio e qualche tocco di vermiglio leggerissimo, sono esposte alcune pagine del Libro illustrato. “La borsa di broccato”, una raccolta di motivi decorativi ad uso per gli artigiani, realizzati da Eisen nel 1828.

All’inaugurazione non era disponibile il catalogo. E’ augurabile, data l’importanza di questa rassegna, che nel frattempo si sia provveduto a stamparlo.

Roma:  Museo dell’Ara Pacis Lungotevere in Augusta, Roma, fino al 14 gennaio 2018 tutti i giorni ore 9.30 – 19.30 – 24 e 31 dicembre ore 9.30 – 14.00. Chiuso il 25 dicembre e il 1 gennaio. Biglietto d’ingresso per la sola mostra: 11€ intero; 9€ ridotto + prevendita € 1. Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Informazioni e notizie tel. 060608 sito web www.arapacis.it –  www.museiincomuneroma.it –  www.hokusairoma.it www.facebook.com/hokusairomawww.instagram.com/hokusairomawww.twitter.com/museiincomune – #HokusaiRoma

Elisabeth Peyton & Camille Claudel insieme in una mostra a Villa Medici– Accademia di Francia– dal suggestivo titolo “Eternelle Idole”.

Testo e foto di Donatello Urbani

Dalla visita a questa mostra, magistralmente allestita negli affascinanti spazi di Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma, mi aspettavo una risposta sull’evoluzione subita dagli idoli femminili a partire dagli ultimi anni  fine ‘800, fino ai nostri giorni, in una società molto diversa dalla nostra quali quella francese e statunitense. Le due artiste che devono accompagnarmi in questo percorso ed appagare anche le mie curiosità, sono Camille Claudel (1864/1943), francese, e la newyorkese contemporanea Elisabeth Peyton,  entrambe quasi sconosciute in Italia.

dav                                                                                                                Camille Claudel: “L’Abandon” – 1905. Bronzo

Camille, una delle maggiori scultrici del suo tempo, si presenta e parla di se stessa attraverso le sue opere, esposte per la prima volta a Villa Medici. “L’Abandon” e ancora di più con il “Portrait de Rodin” ci testimoniano quanto importante sia stato per lei l’incontro con il grande maestro Rodin sia per la sua vita sentimentale che in quella artistica. Scrive in proposito la curatrice Chiara Parisi: “Inizialmente allieva dello scultore francese Rodin (1840/1917) in seguito sua amante ed artista lei stessa, Claudel fu modella e musa per diverse opere dello scultore che si possono vedere a Villa Medici, come il sensuale abbraccio “L’Eternel Printepems” del 1884 e i suoi ritratti”.

IMG_20171011_115937                                                                                                                       Elisabeth Peyton:David”- 2016. Olio su tavola

Sempre grazie alle parole della curatrice sappiamo che: “Elisabeth Peyton ha concepito l’Eternel Idole intorno ad un particolare modo d’espressione umana. Piuttosto che presentare una testimonianza storica o un omaggio, il suo obbiettivo è riflettere sui modi in cui gli artisti si relazionano uno all’altro nel tempo.” Il percorso espositivo che pone a confronto le opere di due artiste, prodotte a distanza di cento ani l’una dall’altra,  inizia prima di varcare il monumentale portone d’ingresso di Villa Medici. Su un grande telo che copre la facciata sono assemblate a cura di Elisabeth Peyton diverse immagini: la foto di un’opera di Camille Claudel: “Les Amants”, scattata nell’atelier dell’artista nel 1913, a fianco ad un ritratto di David Bowie, realizzata da Elisabeth Peyton nel 2016. Entrambe le opere ci pongono di fronte  e ci anticipano il messaggio, compreso il suo valore idealizzato, che sarà sviluppato in maniera più approfondita ed esauriente da tutte le altre esposte all’interno della villa. “Della Dama con l’Ermellino di (Leonardo) Da Vinci, “da una conversazione di Elisabeth Peyton con David Fray riportata sul catalogo, “ho letto che è stato il suo primo vero ritratto, in senso profano, con tratti psicologici. Questo si vede nel personaggio, e sarei curiosa di sapere la relazione che c’era tra di loro, non so cosa sia, ma si avverte una sorta di tenerezza e mi piacerebbe davvero sapere come lo ha dipinto quel quadro. Non lo saprò mai, certo. Non si può sapere. Però questo è il motivo per cui l’ho dipinto….”, riferimento al ritratto sulla facciata.  Questa dichiarazione di Elisabeth si pone in una stretta relazione di comunanza d’idee con l’opera di Camille, come chiaramente indicato nel titolo. Gli oltre cento anni che separano le due opere riprodotte nel “telero” confermano come anche il loro messaggio superi brillantemente i limiti imposti dal tempo ed abbia in se tutte le naturali caratteristiche per essere eterno.

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Auguste Rodin: “Ritratto di Camillòe Claudel” – !884                                                                                                                                Camille Claudel: “Ritratto di Auguste Rodin-1888/89

Strumento indispensabile all’esatta lettura di questa rassegna è il catalogo Edito da Electa, ricco di tavole a colori e testi in triplice lingua: francese, italiano ed inglese. Pag. 96 costo €.22,00.

Roma – Accademia di Francia – Villa Medici – Viale Trinità dei Monti, n.1, fino al 7 gennaio 2018 dal martedi alla domenica dalle ore 10,00 alle 19,00. Biglietto d’ingresso €.6,00, gratuito agli inferiori dei 18 anni. Gruppi €.1,00 previa prenotazione al dipartimento della Didattica via e.mail didattica@villamedici.it. Biglietto integrato con la visita a Villa Medici e ai giardini intero €.12,00 ridotto €.6,00 per categorie varie. Informazioni sul sito www.villamedici.it – tel. +39.06.67611

“LA NAVE DEI FOLLI” – Imponente dipinto di Patrizia Comand al centro di un’interessante mostra a Palazzo Cipolla.

Testo e foto di Donatello Urbani

Questa opera, dipinta tra il 2013 e il 2014, trae ispirazione dall’omonimo  poema satirico-morale in versi di Sebastian Brant, pubblicato nel febbraio 1494, durante il Carnevale altorenano, e alle cui “illustrazioni” aveva collaborato con varie xilografie anche un giovane Albrecht  Dürer.

01.La Nave di Folli-intero_RIDOTTA
“L’imponente dipinto, nel suo racconto simbolico e allo stesso tempo ironico, crea un universo visivo e narrativo originale e autonomo, dove fluttuano o danzano figure allegoriche, dai chiari riferimenti al poema di Brant ma anche alla nostra attualità” dice il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo, importante istituzione culturale della nostra città.

04-DEI VECCHI MATTI                                                                                                            Patrizia Comand: “Dei vecchi matti”
Il percorso espositivo ci presenta, insieme al grande dipinto, 20 disegni preparatori, ispirati a 20 capitoli dell’opera, che sottolineano lo stile attento e preciso della pittrice e rendono visibile il legame con l’opera letteraria che l’ha ispirata. “L’arte è solo quella che riesce ad esprimere l’essenziale verità delle cose con profonda umanità e spiritualità…” è un messaggio di un nostro grande maestro dei primi anni del novecento che trova in questa mostra una conferma della sua validità malgrado siano trascorsi cento anni. Se poi a questi si aggiunge un pizzico di satira, come fa Patrizia Comand, il messaggio pittorico assume un valore in più a tutto guadagno di lasciare i visitatori con l’animo sollevato.

Roma, Palazzo Cipolla – Via del Corso, 320 – fino al 12 Novembre 2017, tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle ore 10,00 alle ore 19,00. Biglietto d’ingresso intero € 3,00; gratuito bambini sotto i 6 anni, visitatori diversamente abili (incluso 1 accompagnatore). Maggiori informazioni per ulteriori facilitazioni sul Web Site: http://www.fondazioneterzopilastromediterraneo.it/

“Codice Archelogico – Il recupero della bellezza” – Le opere di Franca Pisani in mostra al Macro Testaccio reinterpretano in chiave moderna i valori umani e culturali dell’archeologia.

Donatello Urbani

Il viaggiatore responsabile che pone al centro delle proprie escursioni turistiche la cultura e la conoscenza del luogo non può mancare di visitare la rassegna allestita con le opere dell’artista Franca Pisani nel padiglione 9B  di MACRO Testaccio dal significativo titolo“Codice Archelogico – Il recupero della bellezza”.  Il  percorso espositivo, nei quattro livelli in cui è stato articolato,  presenta 47 opere tra affreschi, quadri, istallazioni e “teleri”, tutti  testimoni dell’approfondito lavoro di studio che Franca Pisani ha compiuto da anni sulla memoria di alcuni elementi primordiali della storia dell’umanità in una sorta di viaggio emozionale alla riscoperta di quattro siti archeologici d’importanza fondamentale per la storia comune di tanti popoli: Hatra, Nimrud, Bamiyan e Palmira.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 4                                       Franca Pisani: Htra e Palmira in due teleti del 2017 esposti al padiglione 9B del macro testaccio.

L’omaggio reso ai quattro siti archeologici è affidato a dieci “teleri” supporto tipico dell’arte veneziana del ’400 e del ’500.  II termine deriva dalla parola veneta teler che significa telaio. Sono grandi tele (ma senza il tipico riquadro ligneo) posizionate direttamente al muro. Sono famosi quelli di Carpaccio, Tintoretto, Palma il Giovane, Veronese e naturalmente Tiziano. Il “telero” è di lino, che per le sue preziose qualità risultava il preferito dagli artisti. Gli stessi curatori scrivono: “Erano lasciati grezzi e non sbiancati per consentire una migliore adesione dei colori, seppur di uno strato sottilissimo. La scelta di Franca Pisani di questa antica arte consente oggi sia un’indagine nella tradizione, sia un confronto drammatico con le regole che la necessaria forza espressiva impone per questi grandi oggetti d’arte. Il risultato è una sorta d’incanto che la location romana rende più coinvolgente.

“Non è una immagine che cerco, non una idea. E’ una emozione che voglio creare” è la stessa artista a tracciare la linea del proprio messaggio artistico che “mette il cuore di artista a nudo in una dichiarazione di poetica che riassume il senso di un’opera e la continuità di una radice espressiva” come scrive Duccio Trombadori,  uno dei curatori di questa rassegna.

IMG_20170928_110321Franca Pisani: “Nomadi”. Sei pezzi realizzati in tecniva mistra nel 2010. Impersonificano il popolo nuovo che recuperata la bellezza tramite il codice archeologico accompagna i visitatori  lungo tutto il percorso espositivo nel padiglione 9B di Macro Testaccio.

E’ la stessa artista che presenta il percorso espositivo in occasione della prewiew: “Il primo livello è un’installazione dove un Nomade anziano ci conduce idealmente in Afghanistan, nella

Il soggetto del primo livello é la Valle di Bamiyan vicino Kabul, ovvero il sito archeologico che era caratterizzato da due Buddha giganti scavati nella roccia, oggi non più visibili poiché distrutti dalla furia umana.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 6                                                                                  Franca pisani: “Bamijan”. Telero 2017.

Nel secondo livello un Nomade Vento fa compiere al visitatore un’incursione in Iraq, nel sito di Hatra Mosul, vicino Baghdad. Fino a poco tempo fa qui esistevano sculture raffiguranti tori con teste umane (androcefalo), i Lamassu.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 7                                                                            Franca Pisani: “Lamussu di Nimrud”. Telero 2017

Un Nomade Adolescente è il conducente del terzo livello, dove il visitatore può rivivere il fascino della città assira di Nimrud di biblica memoria, situata sul fiume Tigri, ricca di suggestione e di riferimenti al nostro passato.

Nel quarto livello un Nomade Curioso rivela infine il continuum dell’opera dedicata alla memoria dell’antica città di Palmira ed è rappresentato da L’albero di Pietra – un tronco di frassino in cui è inserito un cilindro in marmo statuario delle Alpi Apuane su cui sono stati scolpiti dei segni primordiali secondo l’antica arte dei marmi e dei graniti – che rappresenta una sorta di leitmotiv dell’attività artistica di Franca Pisani. Unitamente all’istallazione, l’omaggio a Palmira prevede anche due “teleri” dedicati all’antico anfiteatro romano.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 5                                                   Franca Pisani: ” Albero di pietra”. Tronco di frassino e marmo statutario. 2017.

Un quinto ed ultimo ciclo dal titolo “La Rinascita”, integra e arricchisce la proposta di Franca Pisani con una doppia versione di una Nomade donna, che insieme a altri “nomadi” (i precedenti che qui si ritrovano dopo il lungo cammino) e una settima figura che rappresenta “l’uomo nuovo” o “della pace”.

Codice archeologico. Il recupero della bellezza 1                                                      Franca Pisani: “Memoria a pezzi”. Installazione di marmo statutario. 2017

Corona, infine, i quattro livelli ed il quinto ciclo uno spazio dal titolo “Memoria a pezzi” che occupa il corridoio centrale del padiglione dove l’artista ha scelto di costruire un atrium di bellezza che si traduce in un percorso di archeologia contemporanea scandito da un migliaio di pezzi marmorei di risulta provenienti dalle cave del Monte Altissimo di Pietrasanta, le stesse utilizzate 500 anni fa da Michelangelo Buonarroti per la facciata della Basilica di San Lorenzo a Firenze, poi rimasta incompiuta. Su una sorta di “pavimento” di polvere di marmo, sono sistemati numerosi pezzi dalle forme più strane, che erano destinati al restauro o alla costruzione di famose moschee e minareti, ma anche di chiese e biblioteche; tutto materiale lapideo che si pongono in stretta connessione con i “teleri” dedicati ai siti simbolo del nostro passato comune.

Trovarsi di fronte ad opere  dal complesso e articolato messaggio artistico come quelle che oggi Franca Pisani ci presenta al Macro Testaccio,  tutto rivolto al recupero di quei valori che sono a fondamento della nostra civiltà, attraverso la bellezza, quali la pace universale ed il rispetto verso le arti, ci porta a riflettere profondamente su “una coinvolgente energia estetica: l’identità femminile e le radici misteriose della vita che camminando insieme tendono, forse, ad una originaria sorgente….” come scrivono anche i curatori di questa rassegna..

Roma MACRO Testaccio Padiglione 9B Piazza Orazio Giustiniani, 4, fino al 26 novembre 2017 con orario: dal martedì alla domenica, 14.00-20.00 (la biglietteria chiude 30 minuti prima) Chiuso il lunedì. Biglietti d’ingresso non residenti 6,00 €, residenti 5,00 €. Tariffa ridotta: non residenti 5,00 €, residenti 4,00 €. Biglietto cumulativo MACRO via Nizza + MACRO Testaccio tariffa intera: non residenti 12,50 €, residenti 11,50 €. tariffa ridotta: non residenti 11,50 €, residenti 10,50 €. Informazioni varie e riduzioni: www.museomacro.org . telefono  060608

Mao Jianhua al Vittoriano – Ala Brasini – con la mostra: “The Timeless dance – Beyond the mountains”

Mariagrazia Fiorentino

Arte e vita s’intrecciano specialmente quando corrono sulle ali della nostalgia come avvenuto visitando la mostra  che espone, fino al 26 settembre, le opere dell’artista cinese Mao Jianhua allestita nell’Ala Brasini del Vittoriano.  I bellissimi paesaggi ammirati in Cina  quali i rilievi montuosi  Monte Giallo, del monte Jizu e del monte Daming, soggetti principe nelle opere esposte, fanno rivivere riportandoli alla mente tutti quei panorami con sfondi e scenari inusuali mai visti in occidente.  Alle bellezze naturali si aggiungono poi grandi valori spirituali e culturali quali le riflessioni di profondi pensatori che hanno perfezionato l’ascendenza buddhista zen e taoista e aprendo nuovi percorsi alla medicina, alle arti marziali, alla musica fino alla tradizione letteraria e alla pittura Shan Sui (montagna – acqua), perfezionata in questi paesaggi montani già millecinquecento anni fa, alla quale la produzione artistica di Jianhua trae spunti e riflessioni. Giustamente al titolo iniziale della rassegna  è stata aggiunta una seconda parte che completa l’intera presentazione  e ne  facilita la lettura con “Beyond the mountains”.           LA_DANZA_DELL'UNIONE_3_inchiostro_su_carta_fatta_a_mano_499x191cmMao Janhua: “Opera appartenente alla serie “La danza delle ore” – Inchiostro su carta fatta a mano cm. 499,oo X 191,00 .

Così ce lo presentano i curatori: “Imprenditore a lungo impegnato a livello internazionale che, una decina di anni fa, ha saputo dare una svolta alla propria esistenza avviando un intenso percorso d’indagine dei fondamenti culturali e spirituali di certa tradizione cinese. Accompagnandosi alla costante presenza di un Maestro, guida spirituale all’esplorazione delle dimensioni più profonde del sé e insieme della natura, e non trascurando il contesto del taoismo e del buddhismo zen, Mao ha intrapreso con disciplina la pratica della meditazione e dell’isolamento, ha scoperto il rapporto empatico con la natura attraverso le montagne sacre, si è dedicato alla musica, agli scacchi e, con esiti sorprendenti, alla calligrafia e alla pittura. Il risultato di questo graduale processo, sempre in divenire, sono i suoi straordinari dipinti di paesaggi – inquadrabili nell’ampio spettro del Shan Shui – che stimolano criticamente a considerare le dimensioni della tradizione e della modernità in Cina. L’alternarsi di montagne, rocce, alberi, arbusti, acque e cielo, si presenta in maniera ritmata dove  insieme al nero che si dipana in infinite sfumature di grigio, compaiono i tramonti aranciati che rendono le atmosfere calde”.

Il percorso espositivo si articola in varie sezioni dove ciascuna sviluppa un tema ben preciso. La prima, dal significativo titolo “Origini”,  ci accompagna alla scoperta delle opere pittoriche  dei primi anni, in parte ispirate al famoso artista moderno Huang Binhong ed al particolare modo di utilizzare l’inchiostro su carta, che Mao Jianhua inizia a studiare e a eleggere quale proprio riferimento nel 2013. E’ lo stesso artista che, guardando il passato, commenta: “Mi dedico alla pittura perché la calligrafia è troppo difficile”.

“Esplorazione”, titolo della seconda sezione, ci presenta un’altra faccia dell’esistenza, dove le opere che si susseguono come in una danza sono dense di pennellate scure e fitte. “In esse”,  come scrivono i curatori, “diventa possibile rintracciare immagini che si animano: animali, piante, profili che ciascuno può trasformare e interpretare puntando l’attenzione su quanto colpisce il proprio occhio, la propria sensibilità”.

Alle opere presenti nella terza sezione, dal titolo “La chiamata del cuore” si può attribuire il potere di generare pulsazioni e mettere in moto il cuore che in “alcune opere trova momenti di sosta e di meditazione”, parole dei curatori.

LA_CHIAMATA_DEL_CUORE_15_inchiostro_su_carta_fatta_a_mano_360x145cmMao Janhua: Opera appartenente alla serie “La chiamata del Cuore”. Inchiostro su carta fatta a mano.

Un gruppo di opere presenti nella quarta sezione dal significativo titolo “Corrispondenze” ci  suggeriscono alcuni movimenti simili a quelli che ci accompagnano in una danza al suono di una musica cadenzata in un ritmo lento e coinvolgente.

Diverso è il sentire avvertito nella quinta sezione dal titolo “Metamorfosi” che c’immerge nella morfologia del paesaggio con una percezione sensoriale degli spazi e delle nature presenti nelle opere di Mao Jianhua.

“La danza dell’unione”, come suggerisce il titolo della sesta sezione, “ci accompagna in spazi e nature illimitate, di fronte a opere larghe sette metri che ci rendono senza peso, in un equilibrio armonico. Il nostro stato d’animo corrisponde perfettamente con il paesaggio, vi con-suona, nei contrasti e negli equilibri tra vuoti e pieni, oscurità e luce, rumori e silenzi. È la danza delle danze” sempre nelle parole dei curatori.

L’ultima sezione, la settima, dal titolo “Rinascita” ci accompagna nel passaggio  da un’opera all’altra, da uno scorcio all’altro, in una serie di carte di formato ridotto, presentate su più file, che includono il colore e mai escludono il vuoto. È la conoscenza di sé tramite la rinuncia a sé. È il completamento della danza senza tempo – the timeless dance.

Il catalogo che accompagna questa rassegna, con pregevoli apporti di specialisti e ricco di tavole relative alle opere in esposizione,  è a cura delle Edizioni Plan in una veste tipografica di gran pregio.

Roma- Complesso del Vittoriano –Ala Brasini – Via San Pietro in Carcere (lato fori imperiali) fino al 26 settembre con ingresso gratuito ed orario: dal lunedi al giovedi dalle 9,30 alle 19,30 – venerdi e sabato fino alle 22,00 e domenica fino alle 20,30.

“Come in cielo, così in terra” – Seul e i 230 anni della Chiesa Cattolica in Corea in mostra nel Braccio di Carlo Magno nella Città del Vaticano con ingresso gratuito fino al 17 novembre 2017

Testo di Mariagrazia Fiorentino e foto di Donatello Urbani

Il suggestivo Braccio di Carlo Magno, il più prestigioso spazio espositivo in stile Barocco nella città di Roma, riportato di recente all’originale splendore secondo il progetto di Gianlorenzo Bernini, accoglie un’interessante mostra  voluta tanto dal Vaticano quanto dall’Arcidiocesi coreana di Seul per celebrare  il riconoscimento ufficiale della chiesa cattolica coreana come istituzione autonoma e non più come una derivazione di quella cinese avvenuto il 9 settembre 1831 con il Breve di Papa Gregorio XVI^ che istituiva il vicariato apostolico di Joseon.

Breve Apostolico sull’istituzione del Vicariato Apostolico di Joseon (조선대목구장임명소칙서)                                                                                                                                                                               Il Breve Apostolico di Papa Gregorio XVI^

Quando monsignor Bruguiere della società delle missioni estere di Parigi e primo vicario apostolico per il regno Joseon, giunse ad Hanyang , l’attuale Seul,  trovò una ben organizzata comunità di cattolici che già dal 1784, malgrado le feroci persecuzioni sopportate per oltre cento anni, teneva viva e praticava il culto nella religione cattolica. Tutto era iniziato ad opera di un gruppo di giovani intellettuali guidati da Kim Beom-woo impegnati nella ricerca di nuovi e validi principi capaci di sostituire quelli confuciani, logori e non più attuali, presenti e dominanti nella società coreana alla fine degli anni settanta del XVIII^ secolo. Nel corso delle loro riunioni consultavano e discutevano le varie tesi etiche e religiose illustrate in testi letterari che erano riusciti a reperire nella vicina Cina.

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Quelle che più impressionarono  e convinsero questi giovani sulla loro validità, furono le cattoliche riportate sul catechismo, nei vangeli  e nelle scritture sacre. Essere tutti uguali di fronte a Dio e riconoscere al prossimo lo stesso trattamento che vorresti per te furono alla base delle aspirazioni che avrebbero dovuto sostituire quelle presenti nella società coreana di allora  espressi da Confucio molti secoli fa e basati su molteplici gerarchie da quella familiare a quella politica, ciascuna titolare di differenti diritti, doveri e privilegi. L’uguaglianza  predicata da Cristo fu la molla per richiedere a Roma l’invio di missionari, in mostra sono esposte varie di queste lettere, gelosamente conservate negli archivi vaticani. Nel frattempo, uno di loro, Yi Seung-hun, si recò a Pechino sia per incontrare i rappresentanti della chiesa locale che per  approfondire la conoscenza  del cattolicesimo. Al suo ritorno in patria nel 1784 si reca a casa dell’amico Yi Byeok  e lo battezza, insieme agli altri compagni, e con loro formano la prima comunità di fedeli cristiani che, negli anni a seguire, riuscirà ad avere propri sacerdoti e una presenza importante nella società coreana.

IMG_20170908_110921                                                                         Chang Woo-sung: “Madonna con Bambino” – 1954. Arcidiocesi di Seul. Tanto la Vergine Maria che il Bambino Gesù indossano gli abiti tradizionali coreani.

La nuova comunità che propugnava l’eguaglianza non fu ben accolta dalle classi dominanti e dalla stessa casa reale ed ebbe così inizio una campagna persecutoria che porterà al martirio decine di migliaia di seguaci di Cristo. Gli episodi di nascita delle comunità di fedeli e delle persecuzioni subite sono i più documentati e meglio rappresentati in questa rassegna con vari reperti, alcuni di grande suggestione come le ciotole sepolte insieme ai martirizzati e sulle quali sono riportati i nomi  dei loro proprietari, oppure con i vasi di terracotta, con le croci in bella evidenza, contenenti le derrate e prodotti di artigianato vari  da vendere nei mercati e nelle ferie locali. Il nuovo corso, con tanto di riconoscimento ufficiale, inizia nel 1895 e a tutt’oggi, malgrado l’ostracismo subito nei periodi di occupazione giapponese e della dittatura militare del  dopo seconda guerra mondiale, i cattolici sono circa sei milioni con 103 santi, 124 beati, un venerabile e 252 servi di Dio, in gran parte martiri.

IMG_20170908_110726_BURST004Opera pittorica in lacca con intagli in madreperla realizzata seguendo la tecnica artistica Najeonchiwa da più artisti, maestri nazionali quali l’ebanista Kim Euiyong, l’intarsiatore di madreperla Kang Jeong-jo ed il laccatore Sohn Dae-yun sotto la supervisione dell’artista Kim Kyung-ja, professoressa emerita dell’Università Hanyangl. La parte sinistra ricorda il passato, sono visibili i martiri incatenati, al centro il presente con la raffigurazione, fra le altre, di Adamo e Dio padre tratta dall’affresco michelangiolesco della Cappella Sistina. All’estrema destra si è voluto rappresentare il futuro che attende la chiesa  cattolica, coreana inclusa, nel quale la buona pratica della recita del rosario sarà la base di partenza per la concordia fra le nazioni, rappresentate dalle bandiere nazionali.

Le fasi salienti di questa storia che hanno interessato i tre momenti principali nel passato, nel presente e nel futuro  è stata riepilogata e raffigurata  nel dipinto in lacca con intagli in madreperla con la tecnica artistica Najeonchilwa, tipica coreana,- vedi in proposito quanto scritto in questa rubrica sulla mostra allestita a Roma  nell’Istituto di Cultura Coreana –  dalle dimensioni ragguardevoli, la sola lunghezza supera i sei metri, e dal suggestivo titolo “Alzati, rivestiti di luce” (“Surge illuminare” è il  testo latino riportato sull’opera), presentata nel 2014 in occasione della visita di Papa Francesco in Corea con la beatificazione di 124 martiri. Oltre i valori artistici e commemorativi questo dipinto realizzato dall’uomo con i prodotti della terra, con l’utilizzo della lacca e del mare con le conchiglie, simboleggia l’armonia reciproca tra il cielo, la terra e l’uomo. “L’intera composizione”, sono le parole dei curatori , “è basata sui Sipjansaengdo, dipinti popolari raffiguranti i dieci simboli della longevità, per testimoniare il desiderio di armonia fra le due Coree, il ripristino della cultura della vita e la pace nel mondo”. Centottantatre opere, tante sono presenti in questa rassegna, molte di gran pregio ed interesse culturale, che superano a piè pari  i valori artistici ed etici e si fanno interpreti di altri di maggior interesse umano.

Roma – Città del Vaticano – Braccio di Carlo Magno – fino al 17 novembre 2017 con ingresso gratuito Maggiori informazioni su www.museivaticani.va – aos.catholic.or.kr

Luminosità millenaria :”Nagion & Ottcil” – Risplende a Roma all’Istituto di Cultura Coreano.

Testo e foto di Donatello Urbani

Le tecniche che prevedono l’uso della lacca e madreperla nelle opere d’arte visiva in Corea risale alla notte dei tempi tanto da divenire un’arte che, per eccellenza, più delle altre caratterizza questa nazione, mentre in Italia  sono state introdotte abbastanza di recente e comunque mai su lacca. Trentatre fra i migliori artisti dell’artigianato simbolo della Corea sono stati invitati ad esporre a Roma, nei locali dell’Istituto di Cultura Coreano in una interessante mostra dal suggestivo titolo “Luminosità millenaria : Nagion & Ottcil”,  le loro opere realizzate con lacche e intarsi in madreperla.

IMG_20170907_194209Kim Myeongcheol – maestro delle arti e della cultura di Corea – :Affresco: “I pini dell’isola di Jeju”. Opera realizzata attraverso l’intaglio a striscioline con seghetto a maki-e, utilizzando conchiglie provenienti dalla Nuova Zelanda e da Numhae, in Corea del Sud.

Il Maestro Son Dae Hyeon, intervenuto nel corso dell’inagurazione precisa che: “La madreperla e la lacca sono materiali reperibili in natura. Per il primo, si utilizzano più di un migliaio di tipi di conchiglie iridescenti, fra cui l’abalone e le conchiglie a spirale. Si opera, attraverso diverse tecniche, sulla struttura di base dell’oggetto, che viene ultimato con la stesura di una vernice ottenuta dall’Albero della Lacca. L’opera finita non è solo un utensile non nocivo alla salute, ma anche un lavoro riconosciuto a livello artistico, che fonde, armonicamente, la tradizione con il presente”.

davHwang Samyong – Maestro artigiano del Ministero del Lavoro –  e Lee Ikjong – Maestro delle arti e della cultura di Corea -: “Ciottoli”. Le pietre provengono dal fiume Hongcheon, nella regione di Kangwondo, trattate con fibra di vetro e diversi tipi di conchiglie sminuzzate in parti di mm.0.4. Utilizzata anche la tecnica d’intaglio a striscioline sviluppata sin dal periodo Goryeo, insieme a nuovi materiali.

Se un oggetto ha come supporto una base in legno assume il nome di “Mokchil, nel caso di altro materiale si chiama  “Geonchil”, per la canapa, “Ramtaechil” per il bambu, “Jitae” su carta Hanji, “Geumtaechil”, per il metallo, “Wataechil”, per la porcellana, mentre la pittura a lacca si chiama “Chilhwa”, “Sihwa” se si usa la polvere dorata a spruzzo e “Nagak” sono chiamate le decorazioni con parti di uovo.

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Helena Kim (Kim Ju) – Maestro delle uova in lacca e madreperla della Federazione delle Organizzazioni artistiche e culturali della Corea : “Imperatrice Myeongseong” e “Ombre blu”. Classico oggetto matrimoniale che rappresenta la leggenda dell’uovo sulla ricerca dell’orige della vita.

Tutto questo offre una precisa idea di come di come “L’arte degli intarsi in conchiglia e di pittura delle decorazioni in lacca”, sono le parole di Lee Soomyoung, Direttore dell’Istituto Culturale Coreano, “ è ottenuta attraverso la combinazione di diversi pigmenti in una tradizione millenaria sviluppatasi già nel periodo dei Tre Regni, di Shilla Unificata e nel periodo Kpryo e quello Jeoson prima di giungere ai nostri giorni”. Inoltre ha tenuto a precisare che: “La verniciatura in lacca possiede tre caratteristiche artistiche peculiari, che la differenziano dalle altre tecniche. La prima è identificata con la durevole lucentezza iridescente della madreperla, la seconda riguarda la maestria nel rivestire di meraviglia le opere di artigianato, mentre l’ultima è la misteriosa originalità che, nonostante il passare del tempo, viene espressa insieme alle altre nelle lacche, incluse quelle esposte anche in questa sala che oltre richiamare l’attenzione e suscitare interesse offrono l’occasione di far conoscer 33 grandi artisti coreani”.

IMG_20170907_193859Gim Sangsu – Maestro Laccatore -: “Tavolino con motivi di fenici dipinte in lacca”. Opera realizzata con la tecnica della polvere d’oro inventata dal maestro Kim Sangsu.

Una rassegna questa di grande interesse , testimone tanto dell’arte quanto della cultura  nazionale coreana, che conferma una volta di più l’antica massima; “L’arte deve sposare la vita”.

Roma – Istituto Culturale Coreano Via Nomentana, n.12 .  La mostra “Luminosità millenaria – Nagion & Ottcil – “ fino all’11 ottobre 2017 con ingresso gratuito dal lunedi al venerdi dalle ore 9,00 alle 17,00. Consigliata la prenotazione al n. 06.441633 – e.mail: info@cullturacorea.it – sito web: www.culturacorea.it anche per informazioni ed iscrizioni alle tante attività dell’Istituto.

I nuovi scavi e restauri nell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme hanno ridestato interesse turistico su una zona ricca di preziose testimonianze storiche, culturali e religiose.

Testo e foto di Donatello Urbani

Dall’arrivo dei piemontesi a Roma, così chiamavano i romani l’esercito italiano, l’area di Santa Croce in Gerusalemme ebbe una destinazione quasi esclusiva a caserma militare con una vasta piazza d’armi centrale attorno alla quale erano stati costruiti numerosi fabbricati. In occasione dei lavori di restauro e ristrutturazione intrapresi nel 2016 è venuto alla luce un pavimento mosaicato. Un primo esame, succeduto all’euforia iniziale, ha messo in luce chiaramente come lo stesso fosse  in stretto collegamento con due “domus” adiacenti facenti parte dei quartieri destinati ai dignitari della corte di Elena, madre dell’imperatore Costantino, qui insediatasi nel “Sessorium” – termine che indica un luogo di soggiorno imperiale- al confine con le mura aureliane.

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La prima domus è detta “dei ritratti” per i busti dei proprietari effigiati nel pavimento a mosaico in due triclini è, allo stato attuale, la più interessante fra le due. L’altra fu chiamata “della fontana” proprio per la presenza nel cortile di una fontana rivestita di lastrine di marmo bianco. Lo scavo stratigrafico, iniziato nel mese di maggio 2017, ha fornito precise indicazioni sull’intera planimetria della domus dei ritratti con un primo ambiente, forse solo parzialmente coperto, destinato ad atrio ed altri due locali di cui uno, un corridoio che era di snodo verso i diversi settori della casa, mentre l’altro, una terza stanza scoperta destinata a locale di servizio, é un ambiente delimitato da tufelli e laterizi con una vasca in cocciopesto collegata ad una canaletta di deflusso e un piano adibito a bancale e probabilmente anche alla cottura dei cibi.

burstL’interesse culturale e storico del luogo non si limita alla sola area archeologica. Destinato fin dal IX^ secolo a.C. ad area funeraria si trasformò a partire dal V^ secolo a.C. in area di grande interesse per la confluenza di tre grandi strade: Labicana, Prenestina, Celimontana e ben otto acquedotti, tra cui quello Claudio, la più antica testimonianza del comprensorio, risalente al 52 d.C., ed ancor oggi visitabile. Negli anni compresi tra il 42 ed il 38 a.C. con il riassetto urbanistico della città voluto da Augusto, l’area fu trasformata in quartiere residenziale con grandi ville e domus private immerse in magnifici e vasti giardini, conosciuti come “horti”. Famosi per la loro presenza, ancor oggi parzialmente presenti nella zona, furono quelli di Mecenate, con l’auditorium oggi raggiungibile da via Merulana, e gli Horti Variani che l’imperatore Elagabalo (218/222 d.CV.) acquisì a demanio imperiale e trasformò in una sua nuova residenza “Sessorium”, strutturata in nuclei monumentali che facevano perno su un atrio corrispondente all’attuale Basilica di Santa Croce. Della villa facevano parte anche l’anfiteatro Castrense ed il Circo Variano, utilizzati per giochi e corse di cavali, nonché le Terme Eleniane, edificate successivamente da Alessandro Severo (222/235 d.C.). La costruzione delle mura aureliane anticipò il ridimensionamento dell’intera costruzione, l’anfiteatro e il circo furono inglobati nelle mura, che  avverrà con Elena, madre di Costantino, che la destinò in parte ad alloggi privati di funzionari della corte, oltre quella destinata alla famiglia imperiale, trasformando il grandioso atrio in Cappella Palatina dedicata al culto della Croce di Cristo, ancor oggi praticato nell’omonima Basilica. Il degrado che seguì alla morte di Elena e alle tante vicende storiche accadute nella nostra città, escluso il fiorente culto religioso alla Croce di Cristo mai cessato negli anni, è decisamente finito grazie anche a questi lavori di ripristino con nuova fruibilità dell’area archeologica, nonché alla presenza di una importante istituzione quale il Museo degli Strumenti Musicali. L’area archeologica è aperta tutto l’anno su prenotazione il 1° e 3° sabato del mese, anche con visite guidate, per singoli alle ore 10,15 e per gruppi alle ore 9,00 e 11,30. Informazioni e prenotazioni sul sito web www.coopculture.it/heritage.cfm?id=65 e al numero telefonico 06.3996770.