Donatello Urbani
Tutto si svolge nel lasso di tempo, lungo non più di mezza giornata, che intercorre tra una arrivo e una partenza di un treno in un piccolo paese della campagna ungherese in un caldo giorno estivo del 1945. Alla stazione ferroviaria scendono dal treno due ebrei, come indicano gli abiti che indossano, uno anziano e uno giovane, insieme a due casse dall’apparenza pesanti e dal contenuto misterioso e, una volta caricate su un carro trainato da un cavallo, s’incamminano tutti verso il centro del paese distante dalla stazione ferroviaria un’ora di cammino. Questo episodio che ha tutti i caratteri della normalità da origine ad un “redde rationem” fra la popolazione che non ha dimenticato la falsa testimonianza e la delazione fornita agli occupanti tedeschi, ed ha molto da farsi perdonare. La mala coscienza collettiva presente in tutta la popolazione scatena un panico indescrivibile e condiziona, nel frattempo, lo svolgersi della vita quotidiana dalle più insignificanti incombenze al matrimonio del figlio del vicario, l’autorità locale, fino a condizionarne gli epiloghi che in alcuni casi saranno veramente tragici. Il tutto si svolge in contemporanea ad un altro importante evento che coinvolgerà, di li a poco, l’intera vita nazionale: l’occupazione russa e l’avvento della dittatura comunista. La pellicola, che uscirà nelle sale italiane il prossimo 3 maggio, mentre in quelle statunitensi la proiezione è già iniziata dai primi giorni di aprile, non è solo un monito a non dimenticare. Il suo valore, oltre quello della testimonianza storica, è nascosto nell’insegnamento rivolto a quanti, in procinto di essere coinvolti in importanti vicende umane, devono compiere la grande scelta se accettarle, solo per un tornaconto personale, oppure, in dialettica con la propria coscienza e convinzioni morali e religiose, rifiutarle in toto.