Mariagrazia Fiorentino – Foto Donatello Urbani

Il motivo poetico e profondo dell’artista è quello di esaltare il ciclo della vita visto come gioia, gioventù, bellezza cercando di conoscere e far conoscere gli aspetti più misteriosi del reale per poi trasmettere un’impressione, una memoria.

E’ innegabile che il dialogo fra le opere di Wangechi Mutu, antropologa, newyorkese di origine e operativa a Nairobi in Kenya,  e la collezione permanente della Galleria Borghese sia di difficile interpretazione. Spetta al visitatore cercare fra le tante letture proposte dalle opere in esposizione quelle compatibili fra i due diversi linguaggi.

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Per una corretta lettura delle opere di Wangechi non si può prescindere dal fatto che l’antropologia aiuta a definire motivi profondi, riti oscuri ed incomprensibili anche alla più rigida classificazione positivistica che evocano tempi di civiltà millenarie.

Significativo in proposito quanto scrive la curatrice: “L’intervento di Wangechi Mutu introduce un vocabolario inedito nell’architettura storica e simbolica della Galleria Borghese. Attraverso la scultura, l’installazione e l’immagine in movimento, l’artista propone un approccio innovativo allo spazio museale, che sfida la gerarchia, la permanenza e il significato fisso. Le sue opere interrogano il peso visivo e l’autorità della collezione, adottando strategie di sospensione, fluidità e frammentazione. In tal modo il museo non si presenta come un semplice contenitore statico di oggetti, ma come un organismo vivo, in continua trasformazione, plasmato dalla perdita, dall’adattamento e dalla riconfigurazione”.

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Il percorso espositivo si articola in due sezioni complementari, all’interno del museo e fra le aiuole del giardino segreto dove, come scrive la curatrice: “il campo visivo del museo si ridisegna e nuove modalità di percezione si aprono al nostro sguardo.

I materiali – bronzo, legno, piume, terra, carta, acqua e cera – sono cruciali per l’etica della mostra. Il bronzo in particolare, si spoglia del suo significato più tradizionale per diventare veicolo di memoria ancestrale, di recupero e di molteplicità. Inserendo sostanze organiche, fluide, mutevoli in un contesto tradizionalmente dominato dal marmo, dallo stucco e dalle superfici dorate, l’artista ribadisce la poetica della trasformazione, del divenire, anticipando così un tema che sarà centrale nel programma espositivo del museo del 2026: le metamorfosi.”

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La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta una, parole della curatrice,  “figura in bronzo, sdraiata e coperta da una stuoia di paglia intrecciata, è intitolata alla posa yoga “shavasana” (posa del cadavere) e si ispira a un reale fatto di cronaca. La collocazione, nell’atrio dell’Accademia, alla presenza di iscrizioni funerarie romane, fa da cassa di risonanza al concetto di morte, abbandono e dignità del vivere”.

Con questa esposizione, come ha ricordato la Dott.ssa Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese, si vuole continuare nello stabilire un dialogo con l’arte contemporanea, dopo le mostre “Gesti Universali” di Giuseppe Penone (2023) e Louise Bourgeois “L’inconscio della memoria” (2024).

Maggiori notizie e informazioni sul sito www.galleriaborghese.beniculturali.it