Testo di Giorgia Lattanzi e Mariagrazia Fiorentino – foto Donatello Urbani

Sono trascorsi trent’anni ma il tempo e l’arte di Andy Warhol, padre della Pop Art, è come non se ne fosse mai andato. Una mostra antologica con circa 170 opere ripercorre le tappe della sua carriera e inaugura uno sguardo d’eccezione sul mondo della società newyorkèse che l’artista ha amato e catturato in tutte le sue manifestazioni: Musica, Moda, Fotografia, Cinema.

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Alla ricerca di “15 minuti di notorietà” che ha trovato inizialmente nascosta dentro quei prodotti di consumo di massa come la celebre Coca Cola o le zuppe della Campbell’s (1962). L’industria alimentare iniziò a fare prodotti uguali per tutti. Sia i poveri che i miliardari bevevano e mangiavano gli stessi sapori. Una rivoluzione che il timido disegnatore, chiamato inizialmente Andy lo straccione, non si fece sfuggire e sulla quale edificò il suo impero. L’arte divenne un Oggetto di Consumo. Warhol nel 1963 ha dato vita alla sua Silver Factory.

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Iniziando a creare opere d’arte che potessero raggiungere le masse. Inizia così un lungo periodo di produzione artistica ispirata al mondo della mondaneità che lui tanto amava ed è grazie all’uso della serigrafia che può realizzare infinite combinazioni di ritratti e di effetti cromatici sempre diversi. L’euforica combinazione tra soggetti, colori e polaroid sembrano soddisfare e alimentare il genio dell’artista che sfrutta la notorietà delle icone del suo tempo per dar vita ad un operazione POP senza precedenti.

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                               Liz                                                                                                                                                            Marylin

La famosissima serie delle Marilyn (1967), i Self-Pportrait di LIiz(1964), di Mao, di Mick Jagger, parlano lo stesso linguaggio stilistico delle sue amate Drag Queen (1975). Ancora una volta annullando la differenza tra le classi sociali. La sua impronta era ormai entrata in tutti i settori ed infatti nel 1967 disegna un’altra icona dei nostri tempi: la copertina del disco dei Velevt Undergroun e Nico con la celebre Banana. Nel 1969 fonda la rivista Interview  grazie alla quale eseguirà una serie ininterrotta di scatti fotografici a tutte le star del cinema e soprattutto della moda tra cui il giovane Giorgio Armani, Gianni Versace, Valentino. Catturando in quegli scatti tutti i volti che hanno reso celebre il “sogno americano”.

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Fu lo stesso Warhol che scoprì, in questa atmosfera magica di NY, un ragazzo che diventerà poi uno dei più famosi ed emblematici precursori del graffitismo americano J.M.Basquiat. Nel 1984 venne commissionato a Warhol un gruppo di opere basate sull’ultima cena di Leonardo Da Vinci dal collezionista greco Iolas che le espose a Milano presso il “Palazzo delle Stelline”. Fu proprio in questa occasione che il collezionista Eugenio Falcioni conobbe le opere dell’imperatore  americano della Pop Art. Prima di quest’incontro, il signor Falconi collezionava solo opere d’Arte Antica e in seguito inizia ad appassionarsi a Warhol divenendo ad oggi il maggior collezionista sul territorio nazionale italiano. Il collezionista Iolas costruì ad Atene una villa di 1300mq, una casa museo per ospitare la sua collezione. Dopo la sua morte l’intera area fu venduta ed in seguito espropriata dal Ministero dei Beni Culturali; una manovra burocratica che bloccò qualsiasi tipo di intervento di recupero. Attualmente la villa è in uno stato di degrado ed è stata “vandalizzata”. Mi chiedo, se per ironia della sorte, qualche ignoto writers non abbia dipinto lì una sua opera, apportando così il suo contributo ad un sogno, mai realizzato, di uno dei collezionisti più importanti del secolo scorso?

Roma – Complesso del Vittoriano- Ala Brasini Via San Pietro in Carcere, Roma. Fino al 3 febbraio 2019. Biglietti d’ingresso: Intero € 13.00 – Ridotto € 11.00. Info www.ilvittoriano.com